Nella stessa settimana in cui a Palazzo Barberini Peter Greenaway tiene una lectio magistralis sotto un affresco del XVII secolo di Pietro da Cortona, dichiarando senza mezzi termini che il cinema deve spezzare il proprio legame con la letteratura e votarsi alle arti figurative, inaugurava la mostra Manet – Ritratti di vita: ma sul grande schermo. Si tratta in senso stretto di un documentario sulla retrospettiva dedicata al grande pittore francese alla Royal Academy di Londra, la cui identità però travalica il genere cinematografico per assurgere a nuova espressione dell’offerta di fruizione dell’arte: una sorta di mostra virtuale, immaginata per superare l’ostacolo geografico, in nome di una democrazia dello sguardo da reclamare – con qualche anno di ritardo? – nell’era della riproducibilità tecnica. Al punto che il produttore Phil Grabsky, dopo aver tracciato meridiani e paralleli di un atlante di spettatori da Napoli al Kansas, si sbilancia senza traccheggi: “Mi sento di consigliare il film a tutti coloro che non possono raggiungere la Royal Academy ma anche a tutti i visitatori della mostra, perché l’evento al cinema sarà un esperienza che permetterà di entrare ancora di più nel cuore delle opere di Manet”.

Se questo movimento proceda dal cinema all’arte, estendendo le possibilità del documentario, o viceversa dall’arte al cinema, ampliando possibilità e formato dei supporti multimediali da tempo usati nelle mostre o nei progetti educativi virtuali, sarebbe questione da approfondire nel rilievo e nel merito. Frattanto, prendiamo atto, salomonicamente, di questa piacevole convergenza, ricordando un precedente fortunato dei medesimi produttori, Leonardo Live, ma soprattutto l’appartenenza del film sulla mostra di Manet ad una trilogia – ma forse dovremmo dire trittico – dal titolo Exhibition: seguiranno Munch 150 dal Museo Nazionale e dal Museo Munch di Oslo, in programma il 27 giugno e Vermeer e la musica: l’arte dell’amore e del piacere, sempre dalla National Gallery di Londra, che verrà presentata il 10 ottobre. In Italia, sempre con la distribuzione della Nexo Digital.

E il pubblico come ha reagito? Segnando la vittoria dell’iniziativa, a quanto pare: con dati coerenti, d’altronde, alla portata divulgativa del mezzo cinematografico ed alla sua capacità di sovrastare l’occasione confinante della mostra dal vivo. Con il primo spettacolo, trasmesso giovedì 11 aprile alle 20 in 99 cinema italiani, in un’ora e mezza di proiezione Manet. Ritratti di Vita ha raccolto oltre 4.500 spettatori, superato solo da un prodotto radicalmente diverso per ambizioni e natura come Oblivion di Joseph Kosinski, con Tom Cruise e Morgan Freeman. Ma forse il confronto più interessante, per quanto la natura ibrida del film su Manet renda incerte le categorie, è con la mostra di Picasso a Palazzo Reale, la più visitata d’Italia nel 2012 – essendo Picasso una sorta di Tom Cruise… – con 558mila visitatori. In una giornata media, però, il numero è di 4227, quindi inferiore al boom dei botteghini di questo primo capitolo di Exhbition.

Per uscire dall’impasse di questa colonizzazione mediale, per cui non è chiaro se si debba gioire del successo o si debba star dietro a chi teme un allontanamento dalla fisicità insostituibile degli originali, due date sull’agenda di fine aprile possono fare da stelle polari. Vien da notare, intanto, come il 24 aprile inauguri ai Musei Civici di Venezia una mostra proprio sul pittore francese: Manet. Ritorno a Venezia. Curiosamente, dunque, nella città della Mostra Cinematografica– ma in questa lotta senza combattimento, prima ancora, si potrebbe reclamare, la città della Biennale o di Tiziano. Che, non a caso, sarà esposto proprio accanto all’artista francese, in un suggestivo confronto tra la Venere di Urbino e la famosa Olympia. Ecco un primo crocevia: sarà curioso osservare – ammesso che la ricaduta sia quantificabile – quanto l’iniziativa del tour cinematografico di Exhibition esaudisca quella che in fin dei conti dovrebbe essere la propria autentica funzione: un invito alla visione dal vivo, ove possibile, anziché una temuta sostituzione; un aperitivo dello sguardo, anziché una forma di sazietà che svuoti i musei. Come a dire, in parole povere, che è verosimile un’onda d’urto dal cinema al museo, con esiti presumibilmente più felici della mostra dei Musei Civici rispetto ad un’analoga iniziativa non preceduta dal battage di Manet – Ritratti di vita. Esternalità positive, dicono in economia.

La seconda associazione mentale è con l’uscita al cinema il 29 aprile del docu-film sui Rolling Stones Crossfire Hurricane di Brett Morgen, non lontano dall’anniversario (17 aprile) dell’uscita del primo album omonimo nella nota rock-band. Contemporaneamente si registra il sold out in soli 3 minuti per il concerto ad Hyde Park del 6 luglio, col quale i Rolling Stones festeggeranno il proprio cinquantesimo anniversario. E, beninteso, nonostante i prezzi oscillassero tra le 100 e le 300 sterline. In campo musicale, dunque, mai si penserebbe a rimpiazzare l’esperienza del concerto con quella del film-concerto: un headbanger della prima fila è anche un collezionista di dvd o uno spettatore in sala. Nel caso dell’arte, però, qualcuno ha voluto agitare lo spettro della sostituzione dell’immagine virtuale a quella materiale, di un futuro di mostre al cinema con i musei vuoti.

Ma, appunto, tra cinema e museo è ancora una volta una lotta senza combattimento: per il semplice fatto che i musei erano, sono già vuoti prima dell’approdo delle grandi opere sullo schermo cinematografico. Ci si muove, cioè, in un ambito in cui il pubblico, a ben vedere, è ancora da costruire: nei gusti come nei numeri. E dacché alla visione si va educati – torniamo alle dichiarazione di Peter Greenaway: “Diamo importanza solo ai testi e trascuriamo lo sguardo”; e dacché, ancora, il cinema e la riproducibilità tecnica alimentano i grandi numeri, non si può che concludere positivamente dell’iniziativa Exhbition e delle sue possibile conseguenze in termini di avvicinamento del pubblico all’arte. È giusto, cioè, che anche Manet abbia il suo Shine a Light; che il film-mostra affianchi il film-concerto; e che il cinema sia il più possibile l’anticamera del museo, anziché l’anti-museo.

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