Revenant, di Alejandro González Iñárritu, è un film di un certo tipo. Lo gradirete se siete amanti delle avventure di frontiera, di Jack London, del western; se apprezzate opere prive di sfumature ma dotate di una straordinaria potenza cinematica; e se eviterete di pensare che la performance di Leonardo Di Caprio giri tutta attorno all’inseguimento della statuetta inarrivabile – a cui è giustamente candidato anche Tom Hardy, proprio per la bella interpretazione dell’antagonista in Revenant.

C’è chi ha ironizzato dicendo che il film è come “un episodio di Jackass immaginato da Terrence Malick”. Di Malick in effetti c’è qualche suggestione luminosa, dovuta al suo direttore della fotografia Emmanuel Lubezki: virtuoso della macchina da presa, è stato collaboratore di Alfonso Cuarón, aiutandolo a realizzare macchine filmiche che sfruttano spazio e movimento in modo sorprendente. A Iñárritu rende lo stesso servizio in Revenant, con sequenze all’avanguardia di cui è impossibile indovinare il trucco.

Un film estetizzante, quindi? Non necessariamente. Iñárritu usa campiture piatte per raccontarci un mito di fondazione dell’America moderna, nata tra fiumi di sangue e ostilità climatiche come in tutti i racconti di frontiera. Di Caprio si presta a ogni genere di gesto estremo per impersonare un personaggio, Glass, che risorge varie volte dalla quasi-morte per portare a termine il proprio viaggio. La natura selvaggia non è la sua nemica, ma un luogo che lo accoglie facendolo trasformare. Il suo vero nemico è invece Tom Hardy, villain pragmatico intriso dell’avidità dell’uomo bianco che per denaro si spinge a nord, e sempre per denaro sarà pronto a dispensare morte.

Le impossibili evoluzioni di Glass ne puntualizzano la natura leggendaria: bianco ma padre di un mezzosangue Pawnee, è in grado di comunicare coi nativi; ma soprattutto sembra capace di assorbire la forza vitale da ciò che all’uomo bianco è alieno (l’orsa, la lingua Pawnee, la loro medicina, anche il ventre di un cavallo). Sembra estraneo alla violenza dei colonizzatori, di cui è invece stato vittima, e il suo mito così facendo si sporca di una certa ipocrisia. Più credibile Fitzgerald, il personaggio di Hardy, che ci ricorda continuamente perché i nostri si trovino in quelle terre selvagge: commerciare pelli, guadagnare soldi. Uccidere per questo.

La mitologia non riguarda solo la storia di Glass, basata su fatti reali e parzialmente tratta dal romanzo di Michael Punke. Lo stesso film ha leggende che lo riguardano: le riprese protratte per mesi per usare solo la luce naturale (cioè un paio d’ore al giorno di set), disagi di vario genere, persino una rissa tra Iñárritu e Tom Hardy – viene quasi da pensare che il regista speri di essere paragonato a Herzog, cosa che invece non faremo. C’è un colpo di scena, però: Revenant è un film pretenzioso che una volta tanto riesce a essere davvero all’altezza delle proprie pretese. Guardatelo al cinema, magari in lingua originale. Godetevelo.

Sara M.Giusy P.
86 1/2