Presentato in concorso al Festival di Cannes, Julieta è il ventesimo lungometraggio di Pedro Almodóvar. Ambientato tra Madrid e la Galizia, con brevi escursioni in altre regioni spagnole, il film racconta la storia di una famiglia e soprattutto di una donna, Julieta, soffermandosi sugli eventi tragici che hanno segnato la sua esistenza, causando in lei rimpianti e sensi di colpa.

Julieta inizia con un lento zoom all’indietro che rivela le pieghe morbide di un elegante vestito rosso. Si tratta di un’inquadratura che ben riassume l’evoluzione formale del cinema di Almodóvar che col passare degli anni è diventato sempre più rigoroso, votato alla ricerca di un’immagine pulita e semplificata nella quale anche gli elementi scenografici si riducono in numero, caricandosi però di forti significati simbolici. Non sfugge a questa tendenza Julieta, film ricco di interni minimalisti, sobri e raffinati, non privi di elementi insoliti e suggestivi che contribuiscono a creare un’atmosfera a volte surreale, come nelle sequenze ambientate nella casa di Xoan, compagno di Julieta, la cui vista sul mare appare finta, improbabile, quasi da favola. Questo interessante approccio estetico dona al film un’atmosfera da mystery thriller con echi del cinema di De Palma.

Si tratta solo di un’associazione di tipo estetico, perché dal punto di vista dei contenuti Julieta non appartiene certamente al genere thriller. Eppure i misteri non mancano in quella che, in fin dei conti, è la storia di una madre e di una figlia e del loro difficile rapporto. Si tratta di un tema caro al regista spagnolo, al centro di altri suoi film come Tacchi a spillo o Volver. In questo caso l’argomento è trattato con profonda malinconia e la caratteristica vitalità dei personaggi di Almodóvar, salda anche di fronte alla tragedia, qui sembra in qualche modo venir meno. Le parole non bastano più a Julieta, una donna che nei momenti importanti della sua vita ha scelto il silenzio invece del dialogo. Un approccio che avrà conseguenze tragiche sulla sua vita, causandole invincibili ripianti e sensi di colpa, come nella sequenza in cui rifiuta di parlare con uno sconosciuto in disperata ricerca di compagnia.

Proprio come la sua protagonista, così stanca e provata, Julieta non riesce a trasmettere quel trasporto emotivo che è invece la chiave dei capolavori del regista spagnolo. Nonostante sia recitato in modo esemplare e sia estremamente curato sul piano formale, il film si appoggia su una sceneggiatura che non è mai davvero appassionante e alla quale manca, nella seconda parte, quel colpo di scena che possa rilanciare la curiosità sopita dello spettatore. Il risultato è, come sempre, interessante, ma lontano dai numerosi capolavori realizzati in passato dal maestro spagnolo.

Michele B.
6/7