Nella Scozia sconvolta da guerre fratricide, il nobile Macbeth si distingue per il proprio valore e la propria fedeltà nella battaglia in difesa del regno di Re Duncan. L’onestà e la determinazione che Macbeth pone al servizio del suo sovrano, però, si tramutano in ambizione e sete di potere, a seguito dell’incontro con un gruppo di donne misteriose che gli predicono la conquista del trono. Aizzato dalla moglie, Macbeth si decide ad accoltellare Duncan. Ma i fantasmi della paura e del rimorso ben presto reclamano il loro dazio e gettano Macbeth in una spirale di follia e di terrore che ne fanno un tiranno spietato.

Attraverso il paesaggio ruvido e inospitale dell’inverno scozzese, Justin Kurzel ci offre la sua visione fredda e analitica del personaggio e della storia di Macbeth: la trasposizione esatta e precisa dei dialoghi di Shakespeare e il rispetto della trama e della sequenza originaria delle scene sono impeccabili e chirurgici, come le lame indifferenti che fendono la carne degli uomini assassinati durante il film.

La potenza visiva evocata dalle immagini di Kurzel è evidente, la sua ricostruzione è fedele e allo stesso tempo grandiosa, ridondante: abusa della slow motion, si crogiola nella sublimazione del dettaglio, enfatizza ciò che di per sé è magnificente perché immortale. Specula come un romantico su un passato glorioso dove gli uomini combattono gli uni a fianco degli altri, a corpo a corpo contro il nemico, tradiscono, ambiscono, amano e odiano profondamente. Eppure tutta questa calda irrazionalità viene congelata dall’estraneità di Kurzel verso la tragedia umana di Macbeth. Non per timore reverenziale, ma per una precisa volontà, si attiene alla trasposizione pentametro dopo pentametro della parola di Shakespeare, di una storia tramandata da secoli. Ma se lo stesso testo shakespeariano è frutto di diversi rimaneggiamenti e implementazioni perché non contribuirvi? Perché non dare una motivazione, oltre alla maternità negata (un flash troppo breve quello del funerale del figlio per essere incisivo), alla spietata ambizione di Lady Macbeth? Perché non ricondurre la sua frustrazione all’esistenza che conduce in un deserto di nuvole grigie e colline ruvide, alla povertà quasi ascetica della sua vita senza una corte, senza distrazioni o momenti esaltanti che pure Kurzel ci mostra?

Se è vero che non esistono ragioni che giustifichino il male, è altrettanto vero che nel testo di Shakespeare il male non è assoluto: i fantasmi di Macbeth sono figli della memoria che non cancella il ricordo del proprio delitto e Michael Fassbender riesce a creare con la sua eccellente interpretazione un Macbeth dilaniato e puro nel proprio rimorso. Mentre dall’altro lato, il contrasto fra la limpidezza del volto di Marion Cotillard e l’anima nera della sua Lady Macbeth non fanno riuscire l’attrice nell’impresa, nonostante il monologo prima del suo suicidio sia straziante e degno delle migliori interpretazioni dell’attrice francese.

Scritto da Vera Santillo.

Vera S.
5 1/2