Utóélet, ovvero Afterlife, ovvero vita dopo la morte. In italiano Mózes, il pesce e la colomba, esordio della trentenne ungherese Virág Zomborácz, vincitrice al Bergamo Film Meeting.

«Sono stata influenzata più dai film di Bud Spencer e Terence Hill che dal cinema ungherese» dice Zomborácz in un’intervista. «Béla Tarr e Miklós Jancsó li ho conosciuti studiando, ho cominciato ad apprezzarli dopo i vent’anni». Il suo film è una commedia dalle pretese contenute: non ha ambizioni innovative, ma è un dignitoso prodotto da circuito d’essai europeo. Dramedy dai toni surreali, il suo schema è classico: un personaggio fragile deve superare un grosso ostacolo per affermare la propria identità. Il gusto per il bizzarro, tipico di certo cinema indipendente, mette a fuoco la marginalità di personaggi inadatti, bulleggiati dalla vita.

Il bullo di Mózes è il suo stesso padre. Autoritario, berciante, opprime il ragazzo chiedendogli con insistenza dimostrazioni di machismo. Mózes, gracile ed efebico, è appena stato dimesso da un ospedale psichiatrico e non sa difendersi. Il film ruota attorno alla risoluzione di questo rapporto impossibile; ma lo fa in modo particolare, perché dopo poche scene il padre di Mózes muore. La trovata del film è proprio questa: già al suo funerale, il padre riappare al figlio come fantasma inconsapevole, e con lui rimane.

Seguiamo le vicende di Mózes che cerca di capire per quale motivo il padre continui ad apparirgli. L’arco narrativo copre la difficilissima accettazione reciproca tra i due uomini, ma anche l’affermarsi della personalità di Mózes. Il film non ha un vero centro narrativo: il rapporto padre-figlio è il tema portante, ma le piccole rivoluzioni di Mózes non vi si collegano concretamente. I personaggi di contorno sono caratterizzati in modo vago, presenze che non riescono a decidere se interferire o meno con la storia di Mózes. Ben riuscito invece il ritratto di un’elaborazione del lutto: la dimensione surreale è coerente con quest’idea, vero motore della storia.

Mózes, il pesce e la colomba si qualifica come una commedia leggera che fa il suo lavoro, senza spingersi molto più in là. Eppure ha un paio di momenti veramente punk (la recita natalizia e la pipì di Mózes) che fanno scorgere un potenziale dissacratorio notevole. Il film non insiste in quella direzione, misurando l’audacia – forse troppo. Ci presenta invece una storia gradevole, che lascia impresse nella memoria alcune immagini simboliche (il pesce, la barca e gli animali in generale): risultato onesto per una prima prova.

Sara M.
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