Spotlight è una squadra di quattro persone che porta avanti il lavoro giornalistico in quella maniera romantica che probabilmente molti considerano estinta: si concentra infatti su casi specifici, svolgendo un lavoro di indagine nascosto e sotterraneo che può durare mesi, fino a quando non ha la certezza di centrare il bersaglio dei loro articoli.

Tratto da una vicenda reale, Il caso Spotlight (fuorviante la rititolazione italiana) è ambientato nel 2001, quando il Boston Globe cambia il direttore con uno di origine ebraica – taciturno ma risoluto – che affida ai quattro un’inchiesta su un caso di molestie sessuali su bambini da parte del clero cattolico della città. Scavando, la squadra diretta dal capo redattore interpretato da Michael Keaton scopre che i preti coinvolti arrivano addirittura a novanta, ma il punto nodale dell’inchiesta non sono (solo) i singoli colpevoli, come dimostra la scelta di non scadere mai nella rappresentazione grafica degli abusi. In questo modo non si pone come base morale del film un desiderio morboso di vendetta, ma un sincero sdegno che serve a far emergere quella che è la vera denuncia, nei confronti dell’inquietante sistema con cui la Chiesa insabbiava un fenomeno di rilevanza psichiatrica. Invece di eliminare il problema, infatti, lo faceva girare di diocesi in diocesi, utilizzando tutto il suo potere per comprare il silenzio di vittime ben scelte.

Tom McCarthy, regista di prove non sempre esaltanti, confeziona questa volta un thriller giornalistico solido, sul solco dell’insuperato modello di Tutti gli uomini del Presidente di Alan Pakula: rigoroso, senza fronzoli estetici, tutto incentrato sui dialoghi, nel quale la regia accompagna lo spettatore a provare “naturalmente” quello stesso sconcerto che coglie i protagonisti man mano che l’indagine va avanti e si allarga. Anche sul versante dell’intrattenimento è efficace nel coinvolgere e informare, ma pecca a volte per degli eccessi didascalici e per un’insistita necessità a voler precisare dettagli che lo spettatore attento noterebbe comunque, finendo per appesantire la narrazione. Gli attori si mettono tutti generosamente al servizio della storia, con la conseguenza però di rimanere poco approfonditi, anche se rimane comunque impresso l’avvocato interpretato da Stanley Tucci, capace di restituire il personaggio più sfaccettato del lotto nella sua interpretazione più misurata ed efficace degli ultimi anni.

Presentato fuori concorso alla Mostra di Venezia nel 2015 e candidato agli Oscar per la sceneggiatura originale e per la regia, Il caso Spotlight porta quindi avanti la nobile tradizione delle investigazioni giornalistiche sul grande schermo. Un cinema di denuncia in grado di coniugare impegno e intrattenimento, che non ha paura di affrontare tematiche senza dubbio scomode e, soprattutto nel nostro paese, dallo scarso rilievo di cronaca.

Eugenio D.Michele B.
7 1/27