Roberto Andò è un regista ambizioso. Elegante e raffinato, rischia però di apparire artefatto e troppo ingessato nel suo approccio, mancando alla fine dei conti di incisività e di efficacia. Lo si era visto in parte in Viva la libertà, favola riuscita a metà sulla crisi e sullo smarrimento della sinistra, e lo si vede ancor di più in Le confessioni, “giallo” filosofico-politico che, in parte, si ispira a Todo Modo di Elio Petri (tratto dal romanzo di Sciascia). In un elegante albergo si riuniscono i ministri dell’economia del G8 per varare una riforma dagli esiti potenzialmente distruttivi: tra gli ospiti c’è anche un monaco certosino (Toni Servillo), la cui presenza destabilizzante e misteriosa scompiglierà le carte in tavola, anche in seguito a una misteriosa morte.

Giudicare il film di Andò esclusivamente sulla base del paragone con il celebre modello di Elio Petri è certamente parziale, perché non contestualizza a fondo e non tiene conto delle differenze (di contesto, narrative etc.); detto questo però, siccome l’ispirazione è chiara quanto le diversità, accennare a un confronto aiuta a capire cosa non funziona ne Le confessioni. Per quanto, infatti, il film del 1976 fosse concettuale, antinarrativo e “filosofico”, non trasmetteva la sensazione di pretenziosità, di distacco intellettuale e di freddezza che invece sono quasi palpabili guardando il film di Andò. Nel film di Petri c’era un’estrema concretezza, dovuta soprattutto all’abile uso del grottesco e alla rabbia sardonica e apocalittica (cioè, potremmo sintetizzare; un rapporto più intellettualmente onesto con il “genere” alla base); nel film di Andò traspare invece la posa da intellettuale salottiero. Tanto il film di Petri – in ogni modo si giudichi la sua analisi politica di fondo – era incisivo, quanto questo non punge e non graffia, rischiando di cadere semmai nel qualunquismo.

Roberto Andò si affida quasi totalmente all’eleganza formale delle inquadrature, delle geometrie dell’imponente e un po’ inquietante albergo e della fotografia dai toni cupi, anch’essa estremamente raffinata. L’eleganza stilistica e la visionarietà solo accennata (non mancano echi sorrentiniani) sono accompagnate da aforismi, proclami e sentenze che, anche quando di per sé riuscite e interessanti, nel complesso risultano più adatte a ipotetici Baci Perugina dalla tematica politica e non amorosa.

A Le confessioni non mancano sequenze riuscite e momenti affascinanti, ma ben presto prendono il sopravvento il distacco di un regista che non vuole sporcarsi in alcun modo le mani, gettando il sasso e nascondendo il braccio, la mancanza d’incisività e la pretenziosità. Il risultato finale è quindi ben al di sotto delle aspettative: a livello stilistico, l’idea di regia viene confusa con l’eleganza e la raffinatezza più superficiali, mentre a livello tematico e politico non incide e non porta ad alcun tipo di riflessione né di sensazione, da ogni punto di vista lo si guardi: che sia una riflessione ponderata o una reazione a pelle. Così come da ogni punto di vista lo si giudichi, il film risulta pretenzioso e pure un po’ vacuo.

Edoardo P.
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