Break it Yourself, nuovo capitolo nella discografia di Andrew Bird, giunge a quattro anni di distanza dall’acclamato Noble Beast, che aveva mietuto consensi a destra e a manca e aveva permesso al Nostro di incrementare le fila dei propri sostenitori.

Diciamolo subito: Break it yourself è album strepitoso, volto a consolidare i recenti successi e con ogni probabilità adatto a mieterne di nuovi. Forse il primo vero botto in questo 2012, al momento un po’ avaro per quanto riguarda la qualità delle proposte musicali.

Una boccata di fresca aria primaverile, ma anche malinconia con cui riempirsi i polmoni e languore che scivola come la notte calante sui momenti più animati. Con ogni probabilità meno barocco dei precedenti lavori, il disco nasce infatti da una creatività più diretta e quasi da session estemporanea, se è vero che risulta registrato su un otto piste all’interno di un granaio e con un organico ridotto al minimo.

Diverse sono le frecce nella faretra del  violinista chicagoano. Giusto citare innanzitutto una Dance Caribe, capolavoro di folk “altro”  che vede il Van Morrison di Astral Weeks passare il testimone al Paul Simon cosmopolita, salvo terminare la sua corsa in una giga irlandese. Altro brano da knock-out è poi il singolo Eyeoneye che parte con elettrico andamento wave e recupera quindi la lezione esistenziale e non solo degli Smiths. In parole povere indie-rock da primi della classe.

Basterebbero questi due brani per spellarsi a buon diritto le mani, ma Bird non è parco nel regalarci altre squisite composizioni.

Prime fra tutte una Lusitania che vede gradita ospite Annie Clark aka St. Vincent: un delicato brano che offre trame sonore vagamente in odore Wilco.  E ancora: una Orpheo looks back abile a recuperare la lezione del british folk dei 70s (Fairport Convention) come anche di certi Kaleidoscope.

Da applausi, infine, Fatal Shore e Hole in the ocean floor. La prima si trascina con carezzevole mestizia quando il consueto fischio bird-iano fa capolino a fissarne l’umore. La secondo si dipana, invece, con arrangiamento classicheggiante, struggente poiché c’è un vuoto da riempire, e questo vuoto mai si riempie.

Se volete pertanto spezzarvi il cuore, fatelo pure ma fatelo da soli.

Scritto da Fabio Plodari.

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