Diaz di Daniele Vicari. Al cinema dal 13 aprile. Don’t clean up this blood recita il sottotitolo del film ispirato ai fatti di Genova del G8 2001.

Un fatto su tutti: Diaz. La scuola di via Battisti che durante il G8 ospitò il Media Center del Genoa Social Forum e fu dormitorio autorizzato per molti. Qui, alla mezzanotte di sabato 21 luglio, a G8 concluso, fanno irruzione oltre 300 forze dell’ordine. La “Macelleria messicana” la definì Michelangelo Fournier, uno dei poliziotti della Diaz, nella sua deposizione al processo. “La più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale“, la definizione di Amnesty International ripresa nella campagna pubblicitaria del film. 93 gli arrestati di cui 16 italiani. Dalla Diaz all’ospedale alla caserma-carcere Bolzaneto, l’orrore continua.

L’intento di Vicari è chiaro fin da subito: “Non pulite questo sangue” si legge sui titoli di apertura del film. Se è vero che l’immagine è memoria, Vicari non dimentica e non vuole che noi dimentichiamo. “E’ stato molto peggio di quello che si vede nel film” ha dichiarato il pm Enrico Zucca all’anteprima genovese. I vertici della polizia invece non commentano, con tanto di circolare del ministero dell’Interno. Eppure le scene di violenza non sembrano censurate nel film, il “tonfo” del manganello arriva allo stomaco, il nostro, come i lividi e il terrore, al punto che viene da chiedersi se sia un torture movie quello che stiamo guardando e non semplicemente la rappresentazione filmica dei fatti tratti dagli atti processuali delle sentenze della Corte d’Appello di Genova del 5/3/2010 e del 19/05/2010. Qui sta il merito e il limite del film.

Il merito civile di aver fatto vedere e sentire cosa sia successo nella Diaz e a Bolzaneto (gli unici fatti di cui non c’è materiale video originale), di non aver mai pulito quel sangue. Il limite è, invece, linguistico, la realtà dei fatti ricostrutita con la finzione crea un paradosso che forse una scelta registica diversa avrebbe potuto levigare, penso ovviamente al documentario, da cui Vicari viene. Tutto ciò che è fiction pura nel film non convince, non può. Così stridono le telefonate dei poliziotti alle fidanzate, le danze attorno al fuoco degli hippy-manifestanti, la storia d’amore tra Marco, il ragazzo del Genoa Social Forum e Maria, la ragazza spagnola conosciuta a Genova.

Non convince il manicheismo di fondo, manifestanti tutti buoni – anche i black block sono fragili e in un eccesso di didascalismo il ragazzo simbolo è nero -, forze dell’ordine tutte cattive, eccetto qualche Claudio Santamaria. I personaggi in generale non hanno forti caratterizzazioni, Elio Germano in particolare, probabilmente a causa della visione corale del film in cui si intrecciano storie e vite senza protagonismi. Menzione particolare a Renato Scarpa, qui ex militante CGIL che si trova alla Diaz per dormire e finisce all’ospedale con lesioni e fratture. Sua la battuta che condanna un blitz completamente fuori di testa e fuori da ogni democrazia: “Avete fatto una cazzata“. Vicari insiste su questa follia con un dettaglio ripetuto a ralenti nel film: il lancio di una bottiglietta di vetro contro una pattuglia di passaggio davanti alla scuola Diaz, motivo per cui fu autorizzato il blitz contro “un manufatto occupato da pericolosi anarco insurrezionalisti” (QUI il sito con tutti gli atti processuali).

Il film di Vicari probabilmente non aggiunge niente alla storia, alla cronaca, ai fatti che dopo 11 anni ogni cittadino non solo italiano dovrebbe conoscere. E’ retorico, manicheo, superficiale ma è necessario.

In concomitanza con l’uscita al cinema del film Diaz di Daniele Vicari, RAI3 trasmette in prima visione assoluta il documentario di Carlo A. Bachschmidt, Black Block che ricostruisce, attraverso alcune interviste, i fatti del G8 di Genova del luglio 2001, culminati nel sanguinoso blitz alla scuola Diaz e nelle torture nella caserma di Bolzaneto. In onda domenica 15 aprile alle 23.45 su Rai 3.

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Chiara C.Edoardo P.Giacomo B.
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