Provenienti dalla Nuova Zelanda, i Surf City – nome ispirato da una canzone dei Jesus and Mary Chain – offrono ai seguaci delle sonorità anni ‘80 e soprattutto shoegaze un divertissement di quelli che, benché derivativi, in fondo non ci si stufa mai di ascoltare.

Memori di una tradizione nazionale solida – per quanto poco conosciuta: The Chills, The Clean – i quattro di Auckland frullano in questo esordio una serie di riferimenti “buoni e giusti”, non mirando  ovviamente al capolavoro, ché di quelli ne esistono già nel campo. Se però siete restii ad  abbandonare la stagione estiva, questo disco vi spedisce dritti a scorazzare sulla costa in cerca della spiaggia migliore,  da bravi dark surfers con occhiali scuri e gli Spacemen 3 nell’i-pod.

Certo, la ricetta è comune a quelli di molti gruppi che nell’ultimo biennio hanno ricominciato a fissarsi le scarpe – Crocodiles in primis – e nondimeno il piatto è servito all’ascoltatore con sapienza ed equilibrio. Quel che ti aspetti, un po’ come ordinare trofie al pesto in una trattoria genovese, però con l’aggiunta di un retrogusto pavementiano che nel gruppo di Brandon Welchez mancava. Più college rock, quindi, che non musica da fetido scantinato  mal illuminato.

Non mancano gli ovvi riferimenti alle cavalcate motorike di marca Neu! che contraddistinguono l’ottima Icy lakes, forse il pezzo migliore del lotto o se non altro quello per cui verranno ricordati, otto minuti di srotolarsi di riverberi e distorsioni dritte dai giorni gloriosi di Jason Pierce e Sonic Boom. See How The Sun è invece rapida ed orecchiabile fin dal primo ascolto, laddove  Retro regala un Buddy Holly apocrifo suonato dai fratelli Reid. In Zombies e Yakuza Park fanno capolino persino certi Animal Collective in chiave pop, segno che il west coast sound affogato nei feedback conserva ancora una punta di ottimismo. D’altra parte, agli antipodi non si vive solo di (e con) pecore e rugby…

Scritto da Fabio Plodari.

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