Consuming Spirits: la recensione
Presentato all’edizione 2013 del Future Film Festival di Bologna, dove ha vinto la Menzione speciale della giuria, Consuming Spirits, del regista, artista e scrittore americano Chris Sullivan, è il frutto di quindici anni di lavoro. Oscuro, visionario, ipnotico, è un film d’animazione complesso e potente sotto molti punti vista.
Innanzitutto quello visivo. Abolito l’uso del computer, Consuming Spirits fonde efficacemente diverse tecniche di animazione artigianale. I personaggi, dall’aspetto espressionista e caricaturale (occhi sporgenti e pelle avvizzita), sono stati disegnati a mano – e con estrema cura per il dettaglio – su lastre di vetro mosse attraverso un sistema di aghi e spilli. Un sistema che conferisce ai loro movimenti la stessa leggerezza onirica di quelli delle marionette. Alcune parti, invece, sono state realizzate in stop motion (ecco apparire, inquadrati dall’alto, inquietanti plastici, infantili e spogli, di caseggiati popolari). Altre rappresentano il piano della memoria con semplici e toccanti schizzi in bianco e nero. Altrove prendono vita stralunati collage di ritagli di giornale.
Ugualmente composito è il livello narrativo. Consuming Spirits porta in scena, infatti, una storia gotica e grottesca di miseria, dolore familiare, alcool e fantasmi del tempo trascorso (il termine spirits va letto nei due sensi) che avanza lenta in un continuo andirivieni tra realtà e sogno, passato e presente, incrociando molteplici luoghi, punti di vista e tecniche narrative (dialoghi, monologhi, flussi di coscienza).
Al centro della vicenda uno squallido e anonimo paese dei monti Appalachi chiamato Magguson e tre personaggi dalla parte sbagliata della vita. Gentlian Violet è una donna apatica che lavora come fotoreporter per il giornale locale The Daily Suggester e assiste una madre malata di Alzheimer con la cattiva abitudine di lasciarsi andare a inopportuni commenti sessuali. Victor Blue (doppiato dallo stesso Sullivan e da questi considerato il suo alter ego) è un collega di Gentlian, con la quale ha una relazione. Fragile, timido, alcolizzato e con evidenti problemi sociali, sul lavoro viene spesso criticato dal capo per la sua tendenza ad assemblare in modo surreale fotografie e didascalie. Earl Gray è uno speaker radiofonico dalla voce arrochita da whisky e sigarette che conduce un programma di consigli di giardinaggio. Un pretesto, in realtà, per distillare meravigliose perle di umorismo nero e disincanto esistenziale o per lasciare scorrere le parole in agrodolci flussi di coscienza.
I rapporti che legano i tre personaggi hanno radici più profonde di quanto potrebbe apparire inizialmente, radici che affondano in un passato lontano e doloroso. E la storia, lentamente, tesse i fili.
Tutto ha inizio con un incidente: una sera Gentlian investe una suora con un pullman scolastico. Dopo inutili tentativi di soccorso, ritenendola ormai in fin di vita, ne nasconde il corpo in un bosco vicino sotto un fascio di rami. Ma “life grows from that which is presumed dead”, come afferma Earl Gray in una battuta chiave del film. L’incidente è infatti la miccia che dà avvio al concatenarsi di una serie di eventi che, tassello dopo tassello, porterà a rivelare un segreto celato dalle stagnanti esistenze dei tre personaggi.
Nelle sequenze successive il film si muove senza soluzione di continuità tra il piano del presente e quello della memoria (i ricordi di Victor), tra realtà e surrealtà, conducendo lo spettatore dentro a spoglie case popolari, lungo strade notturne che fiancheggiano foreste, dentro a una misteriosa roulotte, nello studio della radio di Earl Gray, nella redazione di The Daily Suggester, nei locali folk dove Gentlian e Victor saltuariamente si esibiscono, in un monastero-manicomio guidato da una cinica superiora armata di fucile e in un museo di storia naturale dove una mummia di recente rinvenimento, ritenuta dagli esperti di un nativo americano, attira gli sguardi dei visitatori.
Se l’intreccio appare inizialmente senza direzione, si rivelerà poi meticolosamente strutturato: come nei migliori gialli, tutti i pezzi, infatti, si ricomporranno e troveranno una spiegazione soltanto nel finale. Un grottesco e derisorio happy ending chiuderà poi definitivamente la vicenda.
Sperimentale, stratificato, ostico, il film di Sullivan è uno scavo nelle regioni oscure del cuore, una riflessione sul tempo e sul potere dei ricordi e una viscerale e magnetica allucinazione onirica. Per potenza visiva, bellezza narrativa, originalità, coerenza e profondità, Consuming Spirits si impone come uno dei vertici espressivi più alti del cinema di animazione degli ultimi anni.
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In effetti i plastici sono intrinsecamente inquietanti per il pubblico italiano. Hats off per la recensione.