Dal regista di “Up” e “Monsters & Co.” e qui produttore esecutivo della Pixar, Pete Docter non potevamo aspettarci che una storia divertente sostenuta da una sceneggiatura avvincente e carica di umorismo, ma anche di un prezioso insegnamento come è “Monsters University” in uscita il 21 Agosto al cinema. Eh sì, perché il prequel di “Monsters & Co.”, come dice lo stesso Docter, è tutto incentrato sull’idea “per cui quando si chiude una porta se ne apre sempre un’altra”. Ecco che le porte, le soglie – il limen fra il mondo degli umani e quello dei mostri, così importante nel primo film – qui si caricano di un ulteriore significato, che è quello dei limiti a cui siamo disposti a spingerci pur di realizzare i nostri sogni, e indicano quel confine che segna il passaggio dall’infanzia alla maturità, spesso segnato da una grande delusione o da un sogno spezzato.

Scopriamo così che il sicuro Mike Wazowski è sempre stato il primo della classe, disposto a lavorare sodo pur di laurearsi come Spaventatore, mentre il modesto e peloso Sulley è irriconoscibile nella sua veste di gradasso che crede che basti il suo talento naturale e la famigerata tradizione familiare a farne il numero uno degli Spaventatori. Ma Monsters University è principalmente la storia di Mike e del suo sogno di bambino di diventare un mostro spaventoso come gli eroi delle figurine della sua collezione. Giunto all’università più prestigiosa di Spaventologia, Mike dovrà affrontare la diffidenza del rettore Tritamarmo che lo crede un mostro come gli altri e non uno spaventatore, e la competizione prima con Sulley e poi con le temibili confraternite dell’università durante le Spaventiadi. Sarà durante la competizione più seguita dell’anno accademico che Mike e Sulley seppelliranno l’ascia di guerra per essere riammessi alla Facoltà di Spavento. Insieme alla confraternita dei più sfigati del college, la Oozma Kappa, fondata dal ritrovato mostro venditore Don Carlton, scopriranno il valore dell’amicizia e del fare gruppo, soprattutto quando la dura realtà ci mette davanti ai nostri limiti.

Mike, infatti, dovrà fare i conti col proprio aspetto gentile e affatto raccapricciante che, agli occhi del rettore Tritamarmo, detentrice del record di grido più acuto suscitato in un bambino, lo rendono un mostro comune, uno dei tanti, e che lo fa espellere dal corso di Spavento insieme a Sulley. Ma Mike si sente speciale e crede che lavorando sodo riuscirà a raggiungere il suo obiettivo: scavalcare la porta col mondo degli umani e provocare le grida più terrificanti mai sentite. Questi tratti del personaggio di Mike, la sua perseveranza e la sua sicurezza, non rischiano mai di farlo passare per un secchione senza talento che si rifugia nello studio per nascondere la propria mediocrità, ma rappresentano uno sprone per tutti i ragazzi, anche quelli più che cresciuti, a dare sempre il meglio di sé se si crede nei propri sogni. Anche se spesso dare il meglio non basta e la realtà presenta il suo conto mostrando ciò che si è veramente e ciò che non si diventerà mai. Del resto è con le porte chiuse in faccia che si cresce e si impara a fare tesoro dei propri limiti.

Gli ingredienti tipicamente pixariani non mancano: l’umorismo originale e mai prevedibile delle battute e delle situazioni, l’eccentricità di alcuni personaggi come la mamma di Sufflè, uno dei confratelli della Oozma Kappa, perfetta donna di casa, mammina fin troppo presente e sdolcinata che però ascolta heavy-metal. Del resto, sin dalla prima inquadratura si capisce che questo è un mondo alla rovescia: il piccione sta beccando sull’asfalto, ma lo fa troppo in fretta. Poi ci si accorge che non è l’effetto degli occhiali 3D: è semplicemente un pennuto mostruoso con due teste. Un mondo ricreato sulla base di un tour itinerante e di sopralluoghi presso le università americane e illuminato da una nuova tecnica ideata dalla Pixar che potrebbe fare a meno di effetti speciali e di sistemi rivoluzionari, perché bastano le sue storie intelligenti, spassose e allo stesso tempo profonde che indagano la realtà e i sentimenti e insegnano a vivere attraverso il sorriso.

Scritto da Vera Santillo.

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