Reduce dall’acclamazione ricevuta al festival di Cannes, Inside Out conferma e sottolinea il ruolo di protagonista di primo piano dell’immaginario cinematografico dell’ultimo ventennio ricoperto dalla Pixar. Si può anche sorvolare sulla carica emotiva che il film di Pete Docter e Ronnie Del Carmen trasmette, in grado di smuovere il più rodato cinismo e il più consolidato cuore di pietra. Del resto, la factory che è riuscita ad emozionare raccontando, per esempio, di giocattoli, robot futuristici e automobili da corsa, non poteva – se un Dio del cinema esiste – sbagliare bersaglio al momento di affrontare una delle essenze della sua poetica, e dell’arte del racconto in generale: i sentimenti stessi.

L’immedesimazione non nasce solo dal fatto che il film racconta di un momento di crescita e di sviluppo universale. L’evoluzione dell’undicenne Riley è anzi, in un certo senso, secondaria, perché Docter e Del Carmen puntano tutto sul racconto di formazione di “Gioia” e “Tristezza” (e secondariamente di Paura, Rabbia e Disgusto), e lo fanno scegliendo una difficile strada che potremmo definire metacinematografica: le figure più o meno antropomorfe che rappresentano i 5 sentimenti base nascono come registi e, loro malgrado, diventano spettatori. Assistono come noi al “film” della crescita, provando le nostre stesse sensazioni e imparando, proprio anche grazie all’esperienza stessa della visione, a conoscersi e a riconoscere l’importanza di tutti i “colleghi”, anche di quelli bistrattati. Quest’ottica meta-cinematografica permette una doppia immedesimazione (ci immedesimiamo nelle vicende di Gioia e Tristezza e viviamo la loro condizione di spettatori della vita di Riley), e d’altra parte rafforza, grazie al gioco di specchi narrativi e d’immedesimazione, il valore dell’ennesimo racconto di formazione di figure sulla carta più consapevoli e mature realizzato dalla Pixar.

E sorprende ancora, nonostante il curriculum della ditta, la scorrevolezza di un’opera ancora una volta non lontana dalla sperimentazione, ma dalla semplicità e dalla limpidezza assolute, che nascondono non solo l’enorme mole di lavoro e la preparazione tortuosa del film (in cantiere da sei anni, con numerose versioni accantonate e con il rischio che il progetto venisse abbandonato) e l’ardua costruzione narrativa, ma anche la densità di riferimenti di vario tipo: dai vari tentativi di raffigurare le passioni, vecchi come la filosofia, al concettualismo pittorico di Kandinsky, fino al cinema classico, tutti sedimentati nel profondo di un’opera scorrevolissima e immediata. E del resto, anche la morale – se così vogliamo chiamarla – appare semplicissima e lieve, ma in realtà risuona come un monito importante considerando il contesto culturale di rimozione dei sentimenti più cupi e delle sconfitte inevitabili nella vita: non solo, di per sé, l’importanza della malinconia, ma la concezione che la malinconia stessa sia alla base della felicità e del successo: e Inside Out “rischia”, al di là della retorica dei buongiorno di un noto quotidiano, di diventare una pietra di paragone anche da questo punto di vista.

Edoardo P.Alice C.Chiara C.Eugenio D.Giacomo BMichele B.Sara M.Thomas M.
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