Il più importante sito amatoriale dedicato ha raggiuto 500 milioni di visualizzazioni a giugno, l’ultima convention ha accolto 8000 partecipanti, la campagna Kickstarter per realizzare un documentario sui suoi fan si è chiusa raccogliendo 5 volte la quota richiesta inizialmente. Stiamo parlando di un cartone animato che arriva da lontano (la prima serie è del 1984) e che sta superando le aspettative della Hasbro, la nota casa produttrice di giocattoli che lo finanzia. Ancora nessuna idea? Significa che non fate parte della appassionata comunità dei Brony (bro + Pony), ovvero i fan adulti della serie My Little Pony – L’amicizia è magica (2010) della celebre animatrice Lauren Faust. Di certo però ricorderete Vola mio mini Pony, la versione italiana della serie originale aperta dalla sigla omonima cantata da Cristina D’Avena.

Inizialmente la serie viene prodotta per spingere la vendita dei pony giocattolo prodotti dalla Hasbro. Rispetto alla serie originale, quella che debutta nel 2010, My Little Pony – l’amicizia è magica, che è la quarta in ordine di tempo, si caratterizza per una svolta a livello del character design e della struttura narrativa. Questo è frutto dell’arrivo di Lauren Faust, nota per il successo mondiale delle Superchicche, come direttrice creativa e produttrice esecutiva. Sotto la sua guida i pony, o meglio le pony, dato che tutti i personaggi sono femminili, acquistano spessore e vanno a rappresentare le diverse tipologie di femminilità, integrate l’una con l’altra attraverso la celebrazione dell’amicizia. L’animazione, pur realizzata in flash, è di alta qualità, tanto da ricordare in alcune sequenze il 3D.

L’aspetto dei pony si avvicina all’estetica del Kawaii, celebrata negli anime anni Novanta. Il termine “kawaii” ha un significato particolare, non facilmente traducibile in italiano. Si potrebbe rendere con l’esclamazione “cariiino!”: kawaii è infatti tutto ciò che finisce in “ino”, che è infantile, asessuato, dolce, indifeso e oggetto di coccole. Il Kawaii si caratterizza essenzialmente per la presenza di quattro attributi: è piccolo, innocente, tenero, tondeggiante. In perfetto accordo con questi dettami, i pony creati da Lauren Faust sono paffuti, morbidi, asessuati, con grandi teste e, soprattutto, giganteschi occhioni sognanti.

La storia spazza via dal campo la presenza umana, in effetti forzata nella serie degli anni Ottanta, e si concentra invece sulle relazioni di amicizia tra Pony di terra, Pegasi e Unicorni. Siamo nel regno di Equestria e un’apprendista unicorno, Twilight Sparkle, viene mandata dalla sua principessa Celestia nella cittadina di Ponyville per mitigare il suo carattere solitario e scontroso e imparare sul campo l’arte dell’amicizia. Nella sua missione è accompagnata dal draghetto Spike, che ha il compito di aiutarla a scrivere dei rapporti alla principessa in forma di lettera. Questo escamotage narrativo permette a Lauren Faust di costruire la storia in maniera episodica, come una serie di altrettante parabole sull’amicizia che si chiudono con la “morale” illustrata da Twilight Sparkle nelle sue lettere alla principessa.

Dopo la conclusione della prima serie, il passaggio del testimone da Lauren Faust a Jayson Thiessen, già regista, segna un cambiamento nella struttura narrativa di My Little Pony – l’amicizia è magica. Se nella prima serie la protagonista incontrastata è Twilight Sparkle, la focalizzazione dei singoli episodi su diversi personaggi consente di approfondire la caratterizzazione di tutte le pony. Inoltre l’amicizia non è più l’unico problema delle coloratissime pony e l’attenzione si sposta su temi collaterali, come ad esempio le paure profonde nel doppio episodio Lesson Zero.

In tutte le serie di My Little Pony – L’amicizia è magica, rimangono invariati lo stile umoristico da slapstick comedy, l’animazione che punta sull’espressività facciale delle pony e soprattutto la tendenza al citazionismo. Ecco allora che Mare Do Well è una vera e propria lettera d’amore ai fumetti americani; It’s About Time, un episodio sul viaggio nel tempo, ricostruisce al dettaglio scene di Terminator e Fuga da New York; Discord, la chimera Big Bad della seconda stagione, è la versione animata di Q, personaggio di Star Trek: The Next Generation; Mmmystery on the Friendship Express, è invece composto da scene ispirate a diversi generi cinematografici, dal film muto alla saga di James Bond, ma se ne potrebbero citare altre centinaia.

L’appeal della serie per il pubblico adulto, i famosi Bronies, passa anche attraverso la capacità e la disponibilità degli animatori di integrare i desideri e i contributi dei fan all’interno della serie. Si prenda ad esempio il personaggio di Derpy, un pony strabico frutto dello scherzo di un animatore che lo aveva inserito sullo sfondo nel primo episodio della serie. I Bronies abbracciano subito il pony “diverso” e gli danno un nome, Derpy appunto. Da parte loro gli animatori danno sempre più spazio a Derpy e riconoscerlo sullo sfondo di diverse scene diventa una sorta di gioco settimanale per i Bronies. Quando Derpy prende la parola nell’episodio The Last Roundup i Bronies gridano al potere del fandom. Il fatto però che il personaggio, già a partire dal nome, si collochi in uno spazio ambiguo e richiami la sfera del ritardo mentale, solleva molte critiche, tanto che la Hasbro decide di tagliare l’episodio incriminato ed eliminare il nome Derpy. La delusione dei Bronies è cocente e non mancano le iniziative per difendere Derpy. Tuttavia l’affezione per la serie non ne risente perché in fondo, a dispetto di quegli insensibili della Hasbro, My Little Pony è una gran bella serie

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