Il Future Film Festival 2014 ha aperto ufficialmente i battenti con un programma densissimo già dalla prima giornata, che ha offerto ai partecipanti una serie di perle da inanellare una dopo l’altra senza soluzione di continuità. Il primo appuntamento era alle 11:30 con la prima selezione di Future Film Shorts, 10 cortometraggi per un totale di 120 minuti in cui immergersi nella magia della stop motion.

La giornata all’insegna della plastilina (che comprendeva anche un laboratorio per bambini a cura di Stefano Bessoni) è proseguita alle 14 con Jasmine, opera del regista francese Alain Ughetto che ripercorre i ricordi di una storia d’amore autobiografica sullo sfondo della rivoluzione iraniana del 1978. Ughetto utilizza una tecnica mista, fondendo la concretezza e la tangibilità della pasta modellabile, l’asfittica Teheran ricostruita in polistirolo e i filmati originali in Super-8 recuperati dagli archivi e dal suo stesso repertorio. Estremamente incisivo l’uso del colore, che contrappone l’acceso blu cobalto degli iraniani (che rievoca gli occhi della vera Jasmine) al giallo ocra dell’alter ego del regista, che si perde nei meandri di una Teheran dello stesso colore, aliena e crudele.

Non meno ostili e opprimenti sono la Tokyo di Jin-Roh – Uomini e lupi di Hiroyuki Okiura (1999) e la Rio de Janeiro di Rio 2096 – A Story of Love and Fury, di Luiz Bolognesi, proiettati nel pomeriggio. A seguire lo sperimentalismo di It’s such a Beautiful Day di Don Hertzfeldt, trilogia dell’omino Bill, che combina la stilizzazione più estrema con una sorprendente cura per i dettagli attraverso il voiceover. I fan del 3D si sono invece gustati la seconda tranche di Future Film Shorts, mentre il resto della giornata è stato dedicato a due delle pellicole più attese della sedicesima edizione del festival, Cheatin’ di Bill Plympton e My Mommy is in America di Marc Boréal.

Cheatin’, il nuovo plymptoon non delude le aspettative di chi aveva amato il precedente Idiots and Angels (2008) e gli ironici corti del prolifico autore, come The Cow who wanted to be a Hamburger. Tra passanti ridanciani, anziani giostrai con l’occhio lungo e autoscontri sovraccarichi di elettricità, un tenace ma perplesso Cupido sulla propria heartmobile fa scattare la scintilla (per non dire la scossa) tra l’avvenente Ella, occhi verdi e gambe interminabili, e il virilissimo Jake, naso da pugile e busto a triangolo capovolto da vero body-builder. Passione, gelosia e cheatin’ reale e sospettato esplodono in un tripudio di membra avvinghiate, biancheria stesa che prende il volo, sicari improvvisati con un arsenale da guerra fredda e curiosi macchinari per lo scambio di anime. La colonna sonora di musica classica accompagna le animazioni realizzate a mano fotogramma per fotogramma (trademark di Plympton) in questo lungometraggio prodotto interamente grazie al crowdfunding.

My Mommy is in America è invece liberamente tratto dall’omonima graphic novel di Émile Bravo e Jean Regnaud, edita in Italia da Bao Publishing con il titolo Mia mamma è in America, ha incontrato Buffalo Bill, che gli autori hanno presentato alle 18 insieme a Giuletta Fara e Oscar Cosulich, direttori artistici del festival. Il film, proiettato in serata, riporta gli spettatori ai banchi della scuola elementare, ma soprattutto ai cortili e alle ricreazioni gender-specifiche con il gioco dell’elastico e le sfide con le biglie. Fra tratti morbidi ma decisi in uno stile che fonde Tintin e Rughe di Paco Roca, colori saturi e atmosfere tanto nostalgiche quanto inesorabili, i giocattoli forniscono il punto di partenza per affrontare i grandi temi della crescita: la responsabilità, l’assenza, il delicato equilibrio fra immaginazione e realtà.

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