Panico al villaggio è come quelle storie che si inventano da bambini mettendo insieme i giocattoli che abbiamo sotto mano e facendoli interagire tra loro in mondi che rispondono a logiche tutte personali.

Non solo perché i protagonisti del breve film dei francesi Vincent Patar e Stéphane Aubier sono effettivamente giocattoli in stile soldatini e animali della fattoria resi mobili con lo stop-motion, e le location sembrano costruite anch’esse da ragazzini particolarmente inventivi, ma anche perché spazio e tempo rispondono a leggi che non sono di questo mondo, e la logica che muove la trama è totalmente imperscrutabile, tanto che riassumerla sarebbe piuttosto difficile, oltre che inutile. Perché il piacere del film sta proprio nella sua imprevedibilità totale, nel fare dell’assurdità una regola narrativa, dove l’unico parametro è l’immaginazione libera da concetti quali la coerenza, i parametri spazio-temporali o altre leggi fisiche.

I protagonisti sono Cavallo, Indiano e Cowboy (che sono rispettivamente un cavallo, un indiano e un cowboy), coinquilini e amici inseparabili. Si potrebbe dire che tutto inizia con un’idea un po’ azzardata di Indiano e Cowboy per il compleanno di Cavallo, ovvero la costruzione di un barbecue di mattoni che vengono ordinati su internet, e che per sbaglio invece di 50 diventano una cifra a dieci zeri; e che ciò porterà alla distruzione della casa, alla sua ricostruzione, a sistematici furti di mura, ad avventure attraverso montagne, caverne, fiumi, mari, fino al polo nord.

Patar e Aubier si inventano delle ambientazioni ben connotate – un villaggio con qualche casa, una scuola di musica, la guardiola di un vigile che cambia forma all’occorrenza, un mondo sottomarino stile Atlantide, un Circolo Polare a caso – e dei personaggi di contorno caratterizzati in modo semplificato ma preciso, come la signora Longré, maestra di pianoforte cui è affidata la sottotrama romantica, o il vicino fattore e la moglie, i cui animali si coricano in stalla con cuscini e coperte; completano il quadro creature marine ladre e scienziati pazzi burloni. Inseguimento dopo inseguimento, si dipana uno sgangherato elogio all’amicizia e al senso della comunità, fino a un’iperbolica resa dei conti tra mondo sopra – e sotto – marino.

Un viaggio quasi psichedelico in cui lasciarsi trasportare, godendo infantilmente della materialità dei personaggi, ridendo benevolmente della loro stupidità e plaudendo al gusto dell’assurdo degli autori.

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Davide V.
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