“Si alza il vento…dobbiamo provare a vivere”. Cinematograficamente parlando, d’ora in poi sarà un po’ più dura farlo, se davvero il vento del cinema di Hayao Miyazaki ha spirato per l’ultima volta con Kaze tachinu. Eppure il maestro dell’animazione giapponese ci lascia con un testamento artistico perfetto, non la summa delle sue tematiche ricorrenti, pur presenti, ma un film ricchissimo, nel quale racconta se stesso e le sue passioni, legandole alla realtà storica e dando spazio per la prima volta all’amore romantico.

Il contesto è quello del Giappone degli anni ’20 e ’30, che Miyazaki restituisce con sorprendente meticolosità. Al suo interno si muove e cresce Jiro Horikoshi, figura biografica che ricerca per tutta la vita la bellezza negli aeroplani che realizza, ispirandosi all’ingegnere italiano Caproni, ma che finirà tristemente per diventare noto come progettista di quegli “Zero””con i quali i kamikaze giapponesi affrontavano il loro ultimo viaggio.

Una tematica scomoda, che infatti ha sollevato polemiche in Giappone sia da destra che da sinistra, ma Si alza il vento è al di sopra di sogni sospetto e a più riprese è chiaro che a Miyazaki più che la Storia interessi la storia di un singolo. La prima, infatti, rimane quasi sempre sullo sfondo e vi entra prepotentemente solo nella straordinaria sequenza del grande terremoto del Kanto del 1923, reso attraverso effetti sonori creati con voci umane che conferiscono una furia quasi animalesca alla catastrofe. Alla fine però la guerra è solo un rimpianto per Jiro, che vorrebbe vedere aerei liberi da mitragliatrici per apprezzarne la bellezza intrinseca, e forse in questo Miyazaki scagiona con troppa leggerezza il proprio protagonista da responsabilità, seppur indirette. Come si diceva, però, non è questo il fulcro del film, quanto piuttosto il raccontare i sacrifici, gli sforzi e la dedizione di un uomo nel perseguire il suo sogno, una parabola che l’animatore giapponese sente particolarmente vicina, non solo per il tema del volo (si pensi a Porco Rosso), ma anche per il parallelismo con il suo percorso e i riferimenti autobiografici. Per la prima volta, poi, Miyazaki si confronta con una sotto trama spiccatamente melodrammatica, regalandoci un rapporto toccante e genuino che nel finale raggiunge vette di lirismo purissimo e che ha il merito di recuperare una corporalità troppo spesso dimenticata dal cinema giapponese.

A elevare Si alza il vento dalla media dei racconti di formazione e realizzazione è comunque sempre l’inconfondibile stile di Miyazaki, qui coniugato in una delle prove più mature della sua carriera, confinando la sua debordante fantasia agli intermezzi onirici. A testimonianza di ciò basterebbero i primi straordinari minuti nei quali non c’è bisogno di neppure una parola per capire l’animo di Jiro, ma la grazia e la delicatezza con le quali viene tratteggiata la parabola del protagonista donano un’aura unica al film e ci raccontano una fede positiva nell’uomo e la possibilità di trovare un posto nel mondo. Un mondo, quello pensato da Miyazaki, che ci mancherà moltissimo, ma nel quale potremmo tornare grazie ai tanti capolavori che ci ha regalato nel corso di una carriera durata mezzo secolo.

Eugenio D.Antonio M.Barbara N.Edoardo P.Michele B.Sara S.Thomas M.
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