Le Stagioni di Louise

Un po’ alla chetichella è arrivato nelle sale italiane Le Stagioni di Louise (Luoise en Hiver il titolo originale), poetico e intimista film d’animazione di Jean-Francois Laguionie e secondo lungometraggio dello studio francese Tchack dopo Le Straordinarie Avventure di April, presentato in Italia all’ultimo Future Film Festival.

Louise, alla quale nella versione italiana dà voce Piera Degli Esposti, è un’anziana signora che, al termine della stagione estiva, rimane bloccata nella cittadina balneare dove ha trascorso le vacanze, completamente deserta nel resto dell’anno e vittima delle intemperie climatiche. Superata presto la delusione dovuta al fatto che i suoi parenti non sono venuti a prenderla, decide di costruire una casupola in riva al mare, di vivere appieno la solitudine a cui è obbligata e di ripercorre un viaggio interiore lungo il suo passato, con la sola compagnia del cane Pepper.

Laguionie realizza un film delicato e struggente, per quanto non così memorabile come è stato da molti presentato e accolto. È un film delicato innanzitutto nel tratto grafico, giocato sulla gentilezza e la dolcezza delle tonalità che ricordano il pastello e l’acquarello e in qualche modo ispirato alla cosiddetta “linea chiara“, tipica della tradizione fumettistica francofona; quest’ultima parentela sembra essere già una costante della casa di produzione, dato che la ritroviamo anche ne Le Straordinarie Avventure di April, tratto del resto da un fumetto di Jacques Tardì, uno dei più importanti fumettisti debitori e continuatori di questa tradizione. L’essenzialità e l’apparente semplicità del tratto sono casse di risonanza perfette per sottolineare la solitudine e la forza, dolce tanto quanto implacabile, con cui l’anziana protagonista ripercorre il suo passato e, alla luce di questo, rilegge il suo presente.

Le Stagioni di Louise è un film certamente malinconico, ma caratterizzato da quel tipo particolare di malinconia dolce e positiva, in fin dei conti rasserenante. Per quanto innegabilmente emozioni e non sia privo di ottime sequenze, in particolare quando accellera sul pedale dell’irreale come metafora della condizione interiore – per esempio la visione del lungomare pieno di gente, o la prima bufera autunnale con il cesto di metallo che insegue la protagonista -, a tratti però soffre di una sorta di eccessivo inseguimento dell’effetto poetico e di una certa innaturalezza nei dialoghi. Caratteristiche che il regista aveva già dimostrato nel precedente La tela animata, rispetto a cui Luise en Hiver è un buon passo in avanti. Così, non sempre il lavoro sul tratto grafico e la potenza emotiva trasmessa camminano di pari passo, anche se – come detto – quando lo fanno i risultati sono ottimi e innegabilmente commoventi.

Sono due pecche queste che rendono l’opera “solo” un buon film e non uno dei capolavori dell’animazione contemporanea. L’entusiasmo un po’ eccessivo con cui da molti Le Stagioni di Louise è stato accolto non vorremmo sia sintomo di una nuova tendenza; quella cioè di considerare qualsiasi film d’animazione per adulti o che tratti di tematiche delicate o interiori come un grande film o un capolavoro.

Edoardo P.
7+