Dragon Ball, manga creato nel 1984 da Akira Toriyama, nella sua versione animata è una delle serie più replicate sulla TV italiana. Quante estati abbiamo rivisto, con stanca nostaglia, le avventure di Goku e famiglia allargata? Il 2013 è stato poi un anno cruciale: dopo 17 anni di attesa, a marzo è uscito un nuovo capitolo della saga, Dragon Ball Z Battle of Gods, film collocato tra la fine della seconda serie, Dragon Ball Z, e l’inizio della terza, Dragon Ball GT. Nei primi 23 giorni il film ha totalizzato due miliardi di yen e al cinema non c’erano solo fan di lungo corso, ma anche giovanissimi innamorati della saga di Toriyama. Proviamo a tornare alle origini per capire cosa ha reso Dragon Ball una delle serie giapponesi più popolari e longeve.

Sul finire degli anni Ottanta il genere più diffuso e di maggiore successo nel mercato dei videogiochi è il cosiddetto beat’em up, letteralmente “battili tutti”, di cui fanno parte titoli come Street Fighter e Mortal Kombat. Si tratta di un tipo di gioco in cui il protagonista si scontra con avversari sempre più forti all’interno di tornei di arti marziali o sullo sfondo di scenari apocalittici. Negli stessi anni si assiste a un intenso sviluppo del genere fantasy, che ritorna in auge grazie alla pubblicazione di nuovi autori come Terry Brooks, particolarmente vicini al pubblico degli adolescenti, e a riedizioni di capolavori della letteratura di genere come Il Signore degli Anelli di Tolkien.

L’animazione nipponica, capace di contaminazioni inaspettate, recupera l’immaginario fantasy e il meccanismo del beat’em up mixandoli con la mitologia orientale e le suggestioni derivate dalle saghe robotiche. E’ questa mescolanza di influenze culturali e ludiche che porta alla creazione di un nuovo genere che si potrebbe definire “di combattimento” e di cui Dragon Ball è il primo più riuscito esempio.

La serie si rifà a un mito molto popolare in Giappone. La storia è, infatti, liberamente ispirata a un antico racconto di Satoh Hoshi, un narratore vissuto attorno al IX sec. d.C. e autore di alcune delle più famose leggende giapponesi. Il racconto in questione, dal titolo Saiyuki (Spedizione ad Occidente), narra delle avventure che un monaco buddista deve affrontare nel suo viaggio verso Ovest, alla ricerca della conoscenza e della pace interiore. Ad accompagnarlo lungo il cammino una scimmietta irrequieta di nome Gokuh che, oltre ad avere una forza incredibile e una pelle durissima, è in grado di resistere anche ai colpi di spada più violenti. Gokuh vola sulla magica nuvola Kinton e maneggia con grande abilità il Nyoboo (bastone magico).

Dragon Ball trasferisce questa base mitologica in un contesto surreale, in cui i combattimenti si rivelano più che altro spunti per creare situazioni divertenti: attraverso il viaggio di Goku alla ricerca delle sfere del Drago, capaci di realizzare qualsiasi desiderio, lo spettatore ha modo di esplorare un mondo popolato da creature curiose e grottesche e lo fa usando macchine volanti, bastoni e nuvole magici. Inizialmente Dragon Ball vuole essere una serie senza grosse pretese, rivolta a un pubblico più che altro infantile. Non a caso, i cattivi sono “da barzelletta”. Solo in un secondo tempo l’attenzione si concentra sui tornei di arti marziali, che vedono l’ingresso sulla scena di personaggi sempre più forti e cattivi.

E’ solo con la seconda serie, Dragon Ball Z, che si assiste a un radicale mutamento di impostazione: non solo si scopre che Goku ha la coda perché è un Saiyan, razza aliena di combattenti votati alla guerra, ma non è nemmeno più molto credibile come protagonista puro e innocente, dato che è diventato padre di famiglia. La forza, la generosità, la correttezza continuano a caratterizzare il suo personaggio, ma la nuvola su cui viaggiava, simbolo della purezza, è ormai scomparsa. Il ruolo del bambino puro e ingenuo, dunque, passa in eredità a Gohan, il figlio di Goku, ma nel frattempo Dragon Ball Z non è più un semplice anime comico: al suo interno vengono presentati combattimenti contro avversari sempre più forti e spietati, il mondo è perennemente in pericolo di distruzione, i personaggi viaggiano nello spazio e nel tempo e le gag che caratterizzavano la prima serie sono ormai dosate con grande accuratezza. Goku diventa sempre più un protagonista “in assenza”: si sa che vince sempre e allora sta sempre altrove, mentre tutti si chiedono ‘Quando arriva Goku?’, vero e proprio motto di DBZ.

E’ proprio questa nuova formula che ha permesso il successo della serie: senza Goku è possibile dare agli altri personaggi maggiore spazio e variare moltissimo i combattimenti, per la gioia di un pubblico non più infantile, ma adolescenziale. Altro fattore vincente è l’introduzione di personaggi carismatici come quello di Trunks, saiyan proveniente da un mondo futuro devastato, che arriva nel presente per recuperare la propria innocenza e per salvare coloro che lui stesso è stato costretto a uccidere.

Un character design pulito quanto i puri protagonisti della serie, i personaggi secondari resi centrali e approfonditi psicologicamente, l’ottimale equilibrio tra dramma e comicità, l’uso dei colori primari, sono tutte caratteristiche che hanno reso Dragon Ball LA serie a cui guardare. Tutte le nuove hit, da Naruto a One Piece, non a caso, ricalcano il modello di Toriyama.

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