Shaun – Vita da pecora: la recensione
La Aardman Animation conferma il suo ruolo di protagonista di primo piano nel mondo del cinema d’animazione con Shaun – Vita da pecora, di Richard Starzak e Mark Burton, trasposizione sul grande schermo di una serie composta da episodi brevi. Protagonisti gli abitanti di una fattoria: il musone ma affettuoso cane Bitzer, i tre maialini scatenati e casinisti come adolescenti protagonisti di un teen movie, l’anatra maneggiona, il toro rabbioso e violento, il gallo che non vuole sapere di abbandonare l’inquadratura a lui dedicata e soprattutto loro: le pecore, capitanate dalla caparbia Shaun, la quale, stanca della routine di pascoli e di tosature – che ha anche smorzato l’affetto che univa lei, il cane e il fattore quando i tre erano cuccioli e giovani – decide di concedersi e concedere alle colleghe di gregge un po’ di vacanza. il piano per la fuga, però, va storto, e il fattore, vittima della macchinazione, si ritrova perso, senza più memoria, nei sconosciuti meandri della grande città, dove, tra l’altro, diventerà una celebrità esaltata dalle forme di comunicazione virale.
Shaun – Vita da pecora è, da un lato, un film di estrema semplicità, nell’intreccio di base come nella morale di fondo, che si pone l’obiettivo di divertire ed emozionare un pubblico variegato per età, rivolgendosi dichiaratamente ai più piccoli tanto quanto agli adulti. è però tutt’altro che banale e sterile, e non rientra nel gruppone dei film gradevoli che non lasciano traccia una volta varcata l’uscita del cinema. Oltre al sagace dosaggio di comicità e di tenerezza, equamente distribuite ed equilibrate, la prima cosa che salta all’occhio e affascina è proprio la firma più tipica della Aardman: l’utilizzo della claymation, cioè di personaggi e ambientazioni modellati e creati con la plastilina e animati in stop motion. La casa d’animazione inglese consolida così un universo stilistico immediatamente riconoscibile, con cui rendere più “materiale” e immediato il contatto tra lo spettatore e il mondo e i personaggi rappresentati; il mondo in plastilina diventa così anche uno strumento per rendere più “calda” la narrazione e sostenere i vari toni, da quello comico, più costante, a quello più intimista di certi momenti.
Altro elemento fondamentale è la colonna sonora; la scelta di accomunare animali e uomini nel fatto che tutti si esprimano con grugniti e versi si rivela vincente: dà ritmo, narrativo e “comico”, e diventa un modo originale, e riuscito, di trasmettere sentimenti e stati d’animo. Shaun: vita da pecora, per concludere, funziona: emoziona, ma soprattutto diverte, con una comicità non lontana dal caos della slapstick e con un certa atmosfera “nonsense” tipicamente inglese, che non impedisce di creare, sempre con un certo distacco, gag più corporali; e, pur essendo fondamentalmente senza pretese, dà anche uno sguardo ironico sulla fugacità delle nuove mode veicolate dalla viralità social.
Edoardo P. | Michele B. | Sara M. | ||
8 | 7 1/2 | 7 |
Regista: - Sceneggiatore:
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