Dopo la pausa estiva, Privet, Kino! continua insieme a voi il viaggio alla scoperta del cinema di area slava. Tra gli eventi più significativi della scorsa stagione c’è sicuramente il Cinema Ritrovato di Bologna, del quale vi abbiamo già parlato.

Quest’anno il pubblico ha avuto a sua disposizione più di 300 film da oltre 50 archivi e produttori da tutto il mondo. Privet, Kino! ha seguito per voi (non senza difficoltà, purtroppo) due rassegne: Preobraženskaja e Pravov e L’emulsione conta: Orwo e Nova Vlna (1963-1968). Entrambe le tematiche scelte erano estremamente interessanti: in ambito russo-sovietico abbiamo avuto modo di conoscere l’opera di Ol’ga Preobraženskaja, prima regista sovietica donna, e i suoi lavori girati assieme al collega Ivan Pravov. La coppia ha conosciuto un momento di grande successo negli anni Trenta, in seguito al quale furono dimenticati. La ricca programmazione, comprendente muti, corti e lungometraggi, ha toccato le principali tematiche delle opere di Preobraženskaja-Pravov: la guerra civile, l’infanzia e la figura del bambino (intensissimo l’adattamento del celebre racconto di Čechov, Kaštanka, 1916, 76’), il circo (ottimo esempio ne è L’ultima attrazione, Poslednij attrakcion, 1930, 79’) e il mondo contadino. Epica pellicola è Il placido Don (Tichij Don, 1930, 115’), prima trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Michail Šolochov, capolavoro della letteratura sovietica.

La visione di queste perle russo-sovietiche è stata necessariamente intervallata con le proiezioni relative alla sezione dedicata al cinema cecoslovacco, curata da Mariann Lewinsky in collaborazione con Anna Batistová dell’Archivio Nazionale di Praga. Per nostra sfortuna gli orari coincidevano; sebbene le repliche consentissero di recuperare alcuni film, ci auguriamo comunque che il prossimo anno i due cicli non si sovrappongano. Dal punto di vista strettamente tecnico la rassegna cecoslovacca era di gran lunga più interessante, poiché consentiva di osservare da vicino le sperimentazioni nate a causa della cronica difficoltà di reperire pellicola di qualità sul mercato nazionale. Oltre a Icarus XB 1 (Icárie XB-1, 1963, 84’, con ogni probabilità tra i film che hanno ispirato Stanley Kubrick per il suo 2001 – Odissea nello spazio), abbiamo avuto la fortuna di vedere Le Margheritine di Věra Chytilová (Sedmikrásky, 1966, 75’), un film di una bellezza davvero rara, considerato come miglior esemplare della Nová Vlna. La pellicola costò a Chytilová il divieto di girare in patria fino al 1975, ma le portò il Grand Prix assegnatole dalla Belgian Film Critics Association.

La macchina da presa segue due giovani donne, entrambe chiamate Maria (Jitka Cerhová – Maria I, bionda e Ivana Karbanová – Maria II, mora), nei loro tentativi di combattere la noia che affligge la loro monotona quotidianità. La mancanza di scopi nella vita di queste ragazze, rappresentanti di un’intera generazione che si affacciava ormai sul Pražské jaro (primavera di Praga, 1968), crea una situazione surreale, al limite del nonsense, accentuata da un sapiente uso del colore. Inizialmente, Maria I e II decidono, dopo uno scambio di battute quasi meccanico, robotico (la postura le rende simili a marionette), di comportarsi “male”. Di qui inizia il loro viaggio “picaresco”, caratterizzato da un’atmosfera giocosa: per pranzare in lussuosi ristoranti orchestrano ingegnose trappole ai danni facoltosi signori in là con l’età, oppure si recano in un club creando scompiglio tra gli scandalizzati avventori. La ricerca costante di cibo costituisce il filo rosso che unisce i vari episodi: una necessità smodata, compulsiva. Un desiderio irrefrenabile dalle conseguenze devastanti, che vediamo, ad esempio, in una scena girata nel loro appartamento, oppure nelle sequenze finali ambientate in un salone da pranzo al centro del quale è posto un tavolo coperto di portate luculliane. La tensione tra ordine e caos è la forza portante del film, echeggiato da precise scelte compositive (basti pensare al contrasto che si crea tra i tovaglioli ben piegati e i piatti rotti proprio in quest’ultima scena). Un ordine che però non sembra contenere la forza dirompente delle due giovani Marie.

La caotica bizzarria degli eventi (e delle protagoniste) viene messa in primo piano anche, e forse soprattutto, dagli esperimenti condotti sulla pellicola Orwo 35mm (l’Agfacolor dei paesi dell’Est). Una stessa immagine può, ad esempio, disperdere il suo cromatismo nel seppia, oppure potenziarlo con tonalità primarie, o azzerarlo nel bianco e nero. Questo singolare uso del colore, secondo quanto si legge nell’interessante contributo di Alberto Spadafora (La questione cromatica della pellicola Orwo nella Nová vlna), è ispirato a Della teoria dei colori di Goethe (1810), “in cui allo studio scientifico della percezione del colore affianca piuttosto la lettura cromatica in senso poetico, estetico, simbolico e psicologico”.

Simbolismo astratto, inattese giustapposizioni, ossimori, filtri di colore rendono la miscela delle Margheritine davvero unica, dal potenziale esplosivo (provare per credere!). Questo assaggio di cinema cecoslovacco (e sovietico) non ci ha soddisfatti, ci ha resi ancor più affamati: attendiamo con trepidazione la ventottesima edizione del Cinema Ritrovato!

Scritto da Irina Marchesini.

Continua a errare su Facebook e Twitter per essere sempre aggiornato sulle recensioni e gli articoli del sito.