Oltre agli ottimi Vampire Weekend (QUI la recensione) maggio ha visto l’uscita di un altro disco (pre)destinato alle top ten di fine anno. Parliamo ovviamente di Monomania dei Deerhunter, consueto grande lavoro ad opera del combo di Atlanta da anni ormai di stanza a Brooklyn.

Dal titolo programmatico (se mai ci fosse bisogno di sottolineare certe ossessioni del buon Bradford Cox), l’album è mix di stili ed umori differenti che non faranno altro che rinverdire l’amore del popolo indie per il suo reietto profeta. Ecco che, a dispetto di toni più garagisti segnati con la doppietta iniziale (Neon Junkyard e Leather Jacket II), ci troviamo presto dinnanzi ad atmosfere più soft (The missing, Blue Agent) come pure a certo incedere scanzonato da rock sudista (Pensacola, ma non è da meno il boogie remmiano di Dream Captain). Apici di un lavoro che appare ai primi ascolti più grezzo sono però quei brani che seguono la via del precedente Halcyon Digest o del side-project Atlas Sound. Si prendano ad esempio i tappeti sonori di T.H.M. o le aperture electro-trasognate di Back to the middle, per non parlare della soffusa Nitebike o del bozzetto Punk (la vie anterieure). Tu chiamalo se vuoi nocturnal garage.

Ad aprile aveva visto invece le stampe Overgrown di James Blake. Diciamolo subito: l’eccessiva esposizione in termini di hype non ha nuociuto all’inglesino, in grado non solo di confermarsi ma addirittura di migliorarsi, arrivando così ad una proposta più matura ed intrigante.

Si fanno quindi felicemente ricordare i toni soul-step della title-track o di I am sold come gli squarci di elettronica suadente in Life round here, o ancora la forma ballata di stampo buckleyiano To the last.

A fronte di un grande comeback patiamo una piccola delusione al cospetto dei  The National. Trouble will find me risulta probabilmente troppo patinato ed è privo di canzoni di un certo spessore. L’impressione è quella di un disco che giri un po’ a vuoto, con la sola Pink rabbits a reggere ottimamente il confronto con il precedente e per certi versi definitivo High Violet.

Disco al solito di mestiere –in un’accezione comunque positiva del termine- per quelli che ormai possono essere considerati i degni eredi dei Rolling Stones. Stiamo parlando ovviamente dei Primal Scream che con More light riescono a proporre un felice bignami della loro carriera discografica. Dopo 5 anni di assenza dalle scene non ci si aspettava un nuovo Screamadelica ma segni di vitalità quelli sì e gli adepti al culto rimarranno soddisfatti. Tanto per la stoogesiana chiamata alle armi di 2013 (qualcuno ha detto Fun house?) come per la  psichedelia sinistra di Tenement Kid o ancora  per la ballata à la Cave Goodbye Johnny. Si fanno ricordare però pure il garage cosmico di Turn each other inside out e la chiusa perfetta di It’s all right, it’s ok (apocrifo stonesiano quanto poteva esserlo Movin’ on up).

Per gli amanti di sonorità più elettroniche segnaliamo invece Praxis makes perfect dei Neon Neon e Thr!!!er dei !!!.

I primi sono il side project di Gruff Rhys dei Superfurry Animals e del dj/producer Boom Bip e se ne escono con un bizzarro concept in chiave synth-pop sulla vita di Giangiacomo Feltrinelli. Un disco che  pare uscito direttamente da (o negli) anni 80, se è vero che tra gli ospiti troviamo pure una certa Sabrina Salerno.

I secondi, emersi ad inizio millennio ai tempi dell’ondata punk-funk, propongono per contro quella che ad oggi può essere considerata la loro prova più compiuta ed equilibrata. Gli insuperati maestri LCD Soundsytem rimangono però, ahimè, lontani.

Se infine siete desiderosi di emozioni da rollercoaster psichedelico come non optare per Indigo Meadow dei texani Black Angels. Fate attenzione, può causare dipendenza/e.

Scritto da Fabio Plodari.

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