Il silenzio esitante del pubblico del Teatro India che alla fine di In cerca d’autore – lo studio condotto da Luca Ronconi sui Sei personaggi di Pirandello – non sa se sia giunto il momento di applaudire, sembra contraddire l’affermazione del regista che ha voluto liberare la commedia “da quel gioco del teatro nel teatro che è vecchio come il cucco”.

All’esclamazione finale del padre “questa è la realtà” il pubblico ha esitato, ha creduto (?), ha atteso che un segno decisivo – che si è poi palesato nei sorrisi e nei sospiri di sollievo dei giovani attori diplomati all’Accademia Silvio D’Amico – giungesse per allontanarsi dalla finzione, per uscire dal palcoscenico dove “si gioca a fare sul serio”, per sentirsi salvo, rassicurato da una realtà che ha confuso con la finzione.

Il testo pirandelliano traccia dei percorsi dai quali è difficile deviare. Continui sono i riferimenti alla sfuggevolezza del reale, al suo essere affine al teatro, all’incomunicabilità insuperabile fra gli esseri umani che comprendono le parole degli altri secondo il filtro del proprio pensiero, secondo il proprio “lanternino”. Ronconi ha provato a fare del capolavoro pirandelliano un “cyber-testo”, a creare un mondo virtuale alla Matrix dove i personaggi non sono altro che dei fantasmi imprigionati nella mente dell’autore. Personaggi desiderosi di vita, di affermazione, di esistenza, che più volte implorano il padre di farli parlare, di farli agire sulla scena. Il palcoscenico, ridotto a un enorme parallelepipedo bianco alle cui pareti strisciano, si aggrappano, si scontrano i corpi a lutto dei personaggi, ci ha restituito la grande innovazione di Ronconi, che consiste non tanto nella volontà di svincolare il testo dal tema dell’indissolubilità della realtà dalla rappresentazione, ma nell’aver proposto un nuovo punto di vista sui personaggi, in particolare della Madre e della Figlia (che qui ha assunto le fattezze del volto espressivo e “selvaggio” di Lucrezia Guidone). La prima diviene, nell’interpretazione ronconiana, il contenitore di un piagnisteo acuto e vuoto, una madre colpevole perché volontariamente cieca, una moglie inesistente, con la quale è impossibile condividere alcunché, una donna che non è donna, ma esclusivamente madre. E in quanto tale, donna che trova la propria pienezza nel ventre rigonfio di una gravidanza e il proprio senso nell’avere figli che si attacchino alle sue vesti; figli, però, che non è in grado di proteggere e tanto meno di guidare. L’assenza di una moglie, di una donna al proprio fianco – e qui è difficile non ravvisare un riferimento alla moglie di Pirandello, che non fu mai una vera compagna a causa della sua pazzia – porta il Padre fra le braccia della Figliastra, che  con la sua carnalità animalesca, e con la sua sete di vendetta, sembra essere la vera autrice del dramma.  Molto più del Padre che ha allontanato la moglie e ha innescato così lo squilibrio che porterà alla rovina della famiglia, e più dello stesso Pirandello, che deve aver subito l’influenza letale di questo personaggio di puro istinto. Un personaggio consapevole della propria forza e della bellezza del proprio dramma, una ragazza arrabbiata che odia la madre insipida, una primadonna che non ci sta a farsi rappresentare con i modi affettati della prima attrice. Un’irriverente clownessa che ride di sé e commuove il pubblico, una divertente smargiassa che ci ricorda le tante ragazze di oggi, arriviste rozze e sempliciotte che fanno di tutto per mettersi in mostra e arrivare magari in televisione.

I sei personaggi di Ronconi sono vivi e attuali. Anzi, semplicemente, sono. L’identità gli è stata conferita dal dramma, dal conflitto che li tiene legati gli uni agli altri. E’ un’identità definita, precisa, leggibile. Loro possono essere di più e meglio degli uomini perché sono consapevoli del loro ruolo, del loro fine, del perché esistono. Esistono solo in funzione del dramma, esistono solo nella mente di chi la ha generati e che poi ha fatto di tutto per zittirli. Anche perché, nella tragedia mitica e ancestrale della famiglia dei sei personaggi che è tutte le famiglie, si rispecchia quella reale del drammaturgo Pirandello, il quale sottolinea come spesso i personaggi prendano il sopravvento sull’autore: spinti da una forza portentosa, si impongono a lui che li ha intravisti dentro di sé e ha provato a nasconderli perché troppo simili a quelli reali, troppo riconoscibili, forse. Perché i fantasmi della mente, come quelli di Matrix, sono creature partorite dalla realtà, una realtà che si vuole fuggire e che non smette mai di tormentarci.

Scritto da Vera Santillo.

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