Out of Frequency, il secondo album della band danese The Asteroids Galaxy Tour, è comparso assieme a tanti altri nel corso di questo sconclusionato 2012. Ma prima di tutto, ve li ricordate questi pazzi con gli ottoni e la cantante biondina con la voce squillante? Sicuramente vi sarà già capitato di vederli, nello spot visionario di una nota marca di birra. Il gruppo scandinavo non è di quelli capaci forse di riempire uno stadio di Wembley, ma leggiamo che in questi mesi è in corso un loro tour, ed è proprio il caso di dirlo, negli Stati Uniti, e sembra che siano riusciti a guadagnarsi una buona base di fan ed amanti delle loro sonorità psichedeliche.

Questo secondo lavoro non ha dato forse le soddisfazioni e il successo del primo, ovvero Fruit, che nel 2009 con il singolo The Golden Age aveva riscosso un ottimo successo. Tuttavia, ci sembra che sia meritevole di attenzione, in particolare per alcuni brani molto “divertenti”. I pezzi di apertura ricordano atmosfere cinematografiche, per poi passare a Major, singolo decisamente accattivante, che propone una miscela di sonorità retro e di pop ballabile. Sicuramente di quelle che entrano in testa e ci mettono un bel po’ ad uscirne, con i loro motivetti spigliati e strampalati. Con Heart Attack il gioco continua con il solito piglio dance, con testi a tratti bizzarri, mentre nel video di questo singolo la cantante Mette Lindberg gioca a fare la Kylie Minogue di Danimarca.

Quando però si passa a Out of Frequency, brano che da il nome all’album, si ha l’impressione di ascoltare qualcosa di già sentito da tempo, ma la sensazione viene poi integrata dal ritornello barocco e dalla voce della Lindberg, oltre al basso pulsante sullo sfondo. Echi rock e prog, addirittura alla Deep Purple (abbiano pietà di me i puristi del genere per questo parallelismo in effetti un po’ esagerato, ma scrivendo di questo gruppo, esagerato è la parola d’ordine, n.d.a.) si avvertono in altri pezzi, come Theme for 45 Eugenia, coniugati alle classiche atmosfere bizzarre che gli AGT sembrano aver preso per fil rouge della loro intera discografia. Atmosfere sbarazzine, quasi menefreghiste con buon groove quelle di Mafia, poi con Suburban Space Invader (titolo a mò di filastrocca) il basso e la voce disegnano il botta e risposta. Si conclude con le tastiere di When it comes to us ed atmosfere che in certi passaggi ci ricordano i contemporanei statunitensi Foster the People di Call it what you want, aggiungendo però un filo di malinconia, ci sembra.

Il sound del gruppo è solido, con la voce di Lindberg e i ritmi spezzati e sconclusionati a fare da colonne all’intera struttura: sono canzoni che ti si appiccicano addosso. Come sempre i gusti sono gusti, ma non si può negare che queste siano sonorità decisamente divertenti ed estremamente addictive. Il problema è vedere quanto verrà voglia di riascoltarle una volta passata l’indigestione.

Scritto da Massimiliano Lollis.

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