AltrodiBlogger Erranti,12 ottobre 2012
Grizzly Bear – Shields: la recensione
Album 2012: Bentornati Grizzly Bear. Bentornati sulla via tracciata da Yellow House che tanto ci aveva colpiti, ormai cinque anni fa. Bentornati, dopo la parentesi Veckatimest, album piacevole ma che segnava un preoccupante allontanamento dalla ricca complessità e polimorfia a cui il gruppo di Brooklyn ci aveva abituati. Shields, invece, è una perfetta sintesi di ciò che di meglio c’è nel progetto Grizzly Bear: il ricco intreccio delle linee strumentali, perfettamente fuse tra loro, la chitarra acustica che alterna forte e piano in un crescendo ipnotico, la vocalità inconfondibile di Ed Droste. Shields aggiunge a questo la definitiva maturazione artistica dei membri del gruppo, in particolare quella di Christopher Bear, la cui batteria diventa elemento caratterizzante in gran parte dell’album.
Ne risultano dieci brani che sfiorano la perfezione. Ovviamente vanno fatti diversi distinguo e alcuni pezzi sono meno riusciti e coesi di altri (penso per esempio a Gun-shy, che unisce suggestioni anni ’80, carillon e suoni a 8 bit in un mix non del tutto convincente), ma l’insieme resta sorprendente. A partire dal primo singolo estratto dall’album, Sleeping Ute, ricco di suggestioni progressive e psichedeliche, impreziosito dagli arpeggi di chitarra, dai rumori ambient e da una chiusura calda e sfumata. Tra i pezzi più notevoli dell’album va citata anche la semplice ma piacevolmente melodica Yet Again, per il tessuto di pianoforte che emerge a tratti tra le chitarre e per il finale stridente che getta un’ombra di incertezza e ambiguità sull’intero brano – come spesso accade nelle canzoni del gruppo, anche nelle più ariose e lievi. The Hunt, in controtendenza, ha una dinamica più piana, senza i crescendo e le variazioni di cui abbiamo parlato; il canto dolce e dimesso si muove al ritmo dettato da percussioni e pianoforte, in un incedere solenne da marcia.
Si muove su un altro terreno ancora Speak in Rounds, canzone irrisolta e multifocale, che si chiude con la chitarra incalzante e l’intervento leggermente dissonante dei fiati. Per non parlare di A Simple Answer, che spiazza l’ascoltatore con sonorità da musical brillante di Broadway che convergono in un finale dilatato e lisergico. La costante presenza di elementi destabilizzanti è, appunto, una delle caratteristiche peculiari della musica dei Grizzly Bear: come in What’s Wrong, dove la batteria procede con ritmiche jazz sincopate, dando un senso di sospensione e incertezza. La stessa incertezza e sospensione che si leggono nei testi, carichi di assenze, ricordi, solitudini. Così si chiude l’album, con la lunga suite Sun in your Eyes, che alterna momenti più intimi, scanditi dal suono del pianoforte o dal ritmo del rullante, ad esplosioni solenni, che subito si ritirano in un raccoglimento pudìco.
Insomma, nell’odierno panorama, fin troppo saturo, dell’indie-folk c’è ancora spazio per le sorprese. Bentornati Grizzly Bear.
Scritto da Barbara Nazzari.
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Nazzari, Lei rischia di portare una ventata di freschezza nel mio ormai naftalinico porta-cd Ikea. Starò alla larga dalle tracce più psichedeliche, però, giacché esse non si addicono al tenore passé di questo mio 2012.