AltrodiBlogger Erranti,21 settembre 2012
Privet, Kino! – Ivan Pyr’ev, l’enigma della Mosfil’m
Privet, Kino! L’angolo dedicato al cinema russo e sovietico. Il Cinema Ritrovato, festival che con scadenza annuale si tiene a Bologna, è un appuntamento imperdibile per qualsiasi cinefilo. La 26ª edizione (23-30 giugno) è stata particolarmente densa per numero di film e di sezioni; naturalmente noi amanti del cinema sovietico non ci siamo fatti sfuggire la rassegna Ivan Pyr’ev, l’enigma della Mosfil’m.
Se Ivan Aleksandrovič Pyr’ev (Kamen’-na-Obi, 1901 – Mosca, 1968) è un regista conosciuto e apprezzato in Russia, altrettanto non si può dire che accada fuori dai confini nazionali; ci sembra, infatti, che qui in Italia questo nome risulti piuttosto oscuro. Solo di recente alcuni suoi film sono stati inseriti in retrospettive cinematografiche, come “Storia segreta del cinema russo” (Fondazione Prada, Milano, 1-4 febbraio 2007) e “Da Oriente a Occidente: Musical!” (Fondazione Cineteca Italiana, Milano, 16 luglio-1 agosto 2010). Tra gli importanti meriti del “Cinema Ritrovato 2012” si segnala dunque l’aver fatto riscoprire al pubblico, attraverso una sezione dedicata, questo versatile maestro. Inoltre, a differenza delle rassegne milanesi, per lo più incentrate sul genere della commedia musicale kolchoziana, la retrospettiva Ivan Pyr’ev, l’enigma della Mosfil’m è riuscita a render conto dei variegati interessi di questo regista, mettendone in evidenza l’ambiguità nei confronti del regime.
Lo spettatore più o meno esperto di cinema sovietico ha quindi potuto godere di una panoramica esaustiva delle linee lungo le quali si è mossa l’indagine pyr’eviana. Ha inoltre potuto apprezzare la scelta registica di coniugare un cinema artistico ad un intento “commerciale”: i film di Pyr’ev sono, infatti, capaci di catturare l’attenzione del pubblico (si può dunque parlare di un cinema “popolare”), senza però rinunciare alla propria intelligenza. A questo punto, visto l’interesse sempre crescente nei confronti di Pyr’ev, sarebbe auspicabile vedere nelle sale anche le altre pellicole non ancora transitate nei circuiti italiani. In parte, la Cineteca di Bologna ha risposto a questa esigenza, inserendo in programmazione i tre film più celebri del regista sovietico. Per i film “sconosciuti”, invece, possiamo proporvi alcune recensioni – non preoccupatevi, non sarà una tortura simile a quella inflitta dal direttore Professor Guidobaldo Maria Riccardelli a Fantozzi.
La rassegna, organizzata secondo un principio cronologico che vuole gettar luce sugli sviluppi della poetica pyr’eviana, esordisce mettendo in primo piano l’interesse del regista per la sperimentazione, interesse probabilmente ereditato da Ejzenštejn, di cui fu allievo e collaboratore. Questa passione è ben visibile nel primo film proiettato, Gosudarstvennyj Činovnik (L’impiegato statale, 1931), dove l’eccentricità stilistica viene arditamente combinata con una narrazione decisamente comica di gusto già popolare (basti pensare alle disavventure del povero cassiere Fokin, interpretato in modo memorabile da Maksim Štrauch).
Il carattere sperimentale della produzione di Pyr’ev emerge con forza anche nel secondo film “d’essai” in programma, Partijnyj Bilet (La carta del Partito, 1936): tra i vari elementi compositivi, vale la pena ricordare l’impianto puramente costruttivista della fabbrica che funge da scenografia d’elezione. Tuttavia, la predisposizione per la ricerca artistica d’avanguardia deve necessariamente coniugarsi con l’esigenza di presentare un prodotto che possa essere accettato dal canone ufficiale sovietico. Se quindi, da un lato, avremo la sperimentazione ad un livello tecnico e stilistico (meno evidente ad un occhio poco esperto), dall’altro la faranno da padrone questioni in linea con i dettami del regime. Ecco quindi Fokin mostrare la sua dedizione ossessiva nei confronti del lavoro (salvo poi farsi traviare dal dio denaro), una sorta di maldestra “copia” del celebre Stachanov. La carta del Partito, invece, condanna uno dei più gravi reati del tempo, il “sabotaggio”, in relazione all’oggetto-feticcio sovietico, ovvero la tessera del partito.
L’abnegazione verso il proprio dovere è anche il filo conduttore della terza proposta, Svinarka i Pastuch (La guardiana dei porci e il pastore, 1941), che si svolge attorno alla storia d’amore (non esente da diverse tipologie di sabotaggio) tra la nordica Glaša e l’attraente pastore del sud Musaib. In questo film, tra i più celebri del già citato sottogenere della commedia musicale kolchoziana, vediamo recitare la splendida moglie di Pyr’ev, Marina Ladynina. Per ritrovare nuovamente quel gaio e leggero naturalismo socialista di cui è intrisa questa pellicola bisognerà aspettare il termine del secondo conflitto mondiale. Con l’avvento della grande guerra patriottica, i film di Pyr’ev perdono infatti la spensieratezza dei predecessori, per diventare cupi drammi.
Per sondare questo aspetto, nel quarto e quinto giorno della programmazione vengono inseriti Sekretar’ Rajkoma (Il segretario del Comitato locale, 1942) e V Šest’ Časov Večera Posle Vojny (Alle sei di sera dopo la guerra, 1944). In questi lungometraggi sarà soprattutto per merito della canzone che viene raggiunto con successo quell’equilibrio tra privato ed epico, quella dialettica tra vecchio e nuovo, ortodossia ed eresia, autentiche cifre della poetica pyr’eviana. Il commento musicale fornisce un’irrinunciabile sottolineatura a quelle che sono le peculiarità del popolo russo: disposizione al sacrificio in favore di un compito “superiore”, la grandezza, la forza, la profondità d’animo, che non cederà per nessuna ragione al nemico.
Chiusa la parentesi bellica, il sesto giorno si passa a Skazanie O Zemle Sibirskoj (La canzone della terra siberiana, 1948), film in cui la sensibilità artistica del regista tocca i suoi vertici. É proprio qui che Pyr’ev dimostra la sua profonda conoscenza dell’incommensurabile ricchezza della tradizione e del folclore russo. Segue poi Kubanskie Kazaki (I cosacchi del Kuban, 1950), commedia musicale che esalta la prosperità (specialmente economica) dell’Unione Sovietica; tuttavia, nonostante la ripresa, non è possibile nascondere il profondo solco lasciato dalla guerra.
Nei suoi ultimi anni di vita Pyr’ev si interesserà in particolar modo della psicologia del personaggio, e in patria non poteva certamente trovare interlocutore migliore di Dostoevskij. Tra le sue varie illustrazioni dostoevskijane, a conclusione della rassegna viene proposto Idiot (L’idiota, 1958). Non si tratta però di una semplice traduzione intermediale: piuttosto, il regista decide di mettere in scena le ossessioni e i nuclei tematici del romanzo.
Ringraziamo il Dott. Andrea Ravagnan e la Cineteca di Bologna per la collaborazione.
Scritto da Irina Marchesini.
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