AltrodiBlogger Erranti,4 agosto 2012
DIIV – Oshin: la recensione
DIIV, Oshin. In questa torrida estate italiana c’è indubbiamente bisogno di una bella rinfrescata, e dopo aver ascoltato l’EP dei Karibean, che surfano allegramente su melodie pseudo Beach Boys, è il turno di un’altra band, molto molto indie, di Brooklyn, creatasi dall’unione di esperienze musicali differenti.
Si tratta dei DIIV, recentissima indie rock band nata lo scorso anno con il nome di Dive, poi cambiato nel più criptico DIIV per non rischiare grane legali con lo storico gruppo belga, omonimo. Se al leggere la parola DIIV vi vengono in mente altri acronimi del mondo musicale di questi ultimi anni, tipo il brano DVNO dei Justice, sappiate che questi non c’entrano nulla con la dance francese. Se, invece, pensate agli MGMT forse qualcosina (ina ina) ci potrebbero anche entrare. Tuttavia, sembra abbastanza assodato che in questa bizzarra epoca storica che ci vede come partecipanti ed osservatori, gli acronimi vadano molto forte quando si vuole dare il nome ad un gruppo. E negli USA particolarmente, dove per ordinare un succo di frutta si chiede un OJ o si decide di mangiare un BBQ e così via. Una passione insana, che forse in Italia non ha ancora attecchito e che, speriamo, non attecchisca mai.
Con il loro primo album Oshin, per l’etichetta Captured Tracks, i DIIV danno l’impressione di essersi sciroppati un bel po’ di Nirvana, ma anche una buona dose di psichedelia varia ed eventuale, che ripropongono al meglio con voci in riverbero, chitarre effettate e motivi ripetitivi. Il riferimento all’elemento acquatico (di qui Dive) è costante, portandoci ad atmosfere talvolta ipnotiche. Ricordano mille altri gruppi della scena indie anglofona, come per esempio gli australiani Tame Impala (vedi brano Solitude is a Bliss) strizzando però l’occhio a sonorità più metalliche ed industrial, talvolta un po’ teutoniche.
Sembra, però, che l’elemento veramente costante dell’intero album sia il carattere monotono e ripetitivo, un po’ troppo per i miei gusti, discutibilissimi. Tracce come Air Conditioning sono apprezzabili, per carità, e forse come trip allucinatorio vanno benissimo (del resto ogni epoca ha quel che si merita se una volta per queste cose ci si “accontentava” dei Pink Floyd). Anzi sono convinto che come musica da atmosfera / sottofondo per fare altro i DIIV vadano piuttosto bene, ma ascoltarsi il disco dall’inizio alla fine è un’altra storia.
Sarà vero come scrive Tom Howard su NME (New Musical Express) che questa è musica “per perdersi” in un’atmosfera generale di totale disinteresse per la realtà e il mondo della quotidianità. Si tratta di un progetto nato in una “camera da letto senza internet” stando a quanto dice il fondatore del gruppo, Zachary Cole Smith (da Wikipedia in inglese), e come tale si identifica come un viaggio interiore, a volte più oscuro, altre più sereno. Il brano Oshin (Subsumen), che dà il titolo all’album, sembra più malinconico, mentre altri pezzi (come Doused) paiono più energici. I cultori del genere mi perdoneranno se io nelle loro note sento molti prestiti dai The Jesus and Mary Chain, a livello di mood.
L’impressione, però, è che questo sia un altro dei mille gruppi indie rock psichedelici della scena newyorkese (e non solo), tanto adatti a tipici happening psichedelici, radical terribilmente di moda. Forse mi sbaglierò, e in effetti sono ancora abbastanza lontano dall’essere infallibile nelle mie previsioni, ma questo è ciò che credo dopo l’ascolto dell’intero disco dei DIIV.
Troppo poco nerbo in queste atmosfere fumose.
Scritto da Massimiliano Lollis.
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