Pro Patria è il grande ritorno di Ascanio Celestini a teatro. Dopo l’esordio per il grande schermo di La Pecora nera, adattamento dell’ omonimo testo teatrale sulla vita nei manicomi, presentato tra l’altro alla 67° Mostra d’arte Cinematografica di Venezia, Celestini torna nel suo ambiente naturale: il palcoscenico.

Si potrebbe dire, semplificando, che Ascanio Celestini sta al teatro come Nanni Moretti al cinema e Giorgio Gaber alla musica: ironico ed originale come il regista di Caro diario e sarcastico e riflessivo come il grande cantautore milanese. Celestini, romano de Roma, di rosso non ha solo il sangue ma soprattutto il cuore: comunista-socialista-marxista devoto, è riuscito  in oltre un decennio d’attività ad elaborare un linguaggio personale poetico e rivoluzionario allo stesso tempo.

Nel one-man show Pro Patria, che scrive, dirige, interpreta, è sullo stesso Celestini che i flebili riflettori dell’essenziale scenografia sono puntati. Scordatevi l’azione dei Motus, i lazzi alla Goldoni e il teatro intimista di Checkov, Ascanio Celestini è Ascanio Celestini: quello che gli riesce meglio è parlare da solo. O meglio, nel caso di Pro Patria, dialogare con un immaginario Giuseppe Mazzini.
Chiuso nella sua solitaria cella due metri per due, il galeotto, finito dentro per aver rubato una mela e condannato all’ergastolo per aver contestato la sentenza e lo Stato, ripercorre la storia dell’Italia unita per scrivere un discorso, il suo discorso: l’unica cosa che gli resta in una prigione che lo ha privato di tutto.

In un periodo in cui sembra la prassi celebrare i 150 anni d’ Italia unita cercando l’omaggio facile, questo spettacolo riesce ad andare in profondità.
Frutto di una scrupolosa ricerca storica e di divertenti innesti comici, il monologo fluisce dalla bocca del protagonista come un fiume in piena, attraversando in lungo e in largo il bel paese martoriato, nell’ Ottocento come nel nuovo millennio, dalle lotte per la libertà. Alle vicende dei grandi protagonisti del risorgimento (Giuseppe Garibaldi, Felici Orsini, Carlo Pisacane,  i dimenticati “militi ignoti”) e tra un evento storico e l’altro emergono il sapore del presente e la riflessione su una quotidianità carceraria regolata da “domandine”, buona condotta e super vitto.
Un’ emozionante  viaggio nell’ Italia di ieri e di oggi alla ricerca di un principio: “senza prigioni e senza processi”. E di qualcuno che sappia dargli ascolto.

Scritto da Micol Lorenzato.

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