Atlas Sound, Parallax: “Giovani crooner crescono” potrebbe essere il commento alla copertina dell’album in questione. Non contento di regalare grandi dischi con i Deerhunter, Bradford Cox, deus ex machina del gruppo di Atlanta, se ne esce con questo Parallax edito a nome Atlas Sound. E decide una volta tanto di vincere l’atavica timidezza e di mostrarsi con il proprio volto che appare di un gelido distacco nel bello scatto anni 50 del maestro Mick Rock (Lou Reed, Iggy Pop e David Bowie tra gli immortalati).Quello che è in tutto e per tutto un side-project solista permette così al Nostro di riversare nel disco qualcosa di più intimo e personale rispetto ai lavori col gruppo-madre, prendendo spunto dal lato più pop dell’ultimo -e ottimo- Halcyon Digest, per dilatare poi il tutto in un qualcosa di più magicamente etereo.

Suoni liquidi per atmosfere trasognate,  istantanee notturne di viaggi interstellari in cui il pop, il folk e certa psichedelia più ambient vengono sapientemente dosati per descrivere sensazioni e introspezioni di individui fragili pronti a tramutarsi in navigatori delle stelle.

E la miscela funziona, personale, coinvolgente, accessibile e mai derivativa. Non si redige il solito elenco di nomi di fronte a quel prezioso scrigno che risponde al nome di Parallax, ci si lascia trasportare e basta.

Forse il parallelo più calzante per queste composizioni è con lo spirito di ricerca tra rock ed “altro” di marca Radiohead, da intendere più come attitudine che non come risultato finale dacchè i brani in questione risultano comunque meno freddi.

Si prenda ad esempio la superlativa Te amo che riprende il discorso della He would have laughed collocata in chiusura di Halcyon Digest per proiettarla direttamente nello spazio, in un autentico sci-fi dream.

Sensazione che prosegue pure all’ascolto della title track, caratterizzata da tastiere liquide e da un mood decadente in bianco e nero.

Mona Lisa è invece delizioso pezzo bubblegum-pop à la Rem che vede la presenza al piano di Andrew VanWyngarden dei MGMT , laddove Doldrums riprende atmosfere ambient avulse dal tempo.

La malinconica ballata Angel is broken conduce poi ad un altro clamoroso uno-due: Terra incognita, in cui il lento e narcotico incedere iniziale si apre in un coro dal sapore onirico, e l’affine Flagstaff, folk sussurrato con deriva spaziale.

Non si spenderanno mai abbastanza elogi per descrivere quello che è, in tutto e per tutto, uno dei migliori autori degli ultimi 10 anni. Bradford Cox ha la stoffa del fuoriclasse, ed allora non vi resta che munirvi di un manuale di astronomia e seguirlo nel suo cosmico errare.

Scritto da Fabio Plodari.

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