Ponyo sulla scogliera: “I film non si fanno usando la logica, ma aprendo le porte dell’inconscio”. Parola di Hayao Miyazaki, che con l’ultimo lavoro interamente scritto, diretto e animato, Gake no ue no Ponyo, ha dato voce “alle vibrazioni della sua mente”.

Durante un viaggio nel Setonai-kai, Miyazaki rimane folgorato dalla bellezza e dalla diversità del paesaggio rispetto alla zona del Kanto dove è nato e cresciuto. Lo colpisce il mare, molto più calmo rispetto all’Oceano Pacifico e le onde che si susseguono continuamente una dietro l’altra. La sua immaginazione comincia a destarsi e dipinge ad acquerello scene “sparse” senza soluzione di continuità, prima ancora di avere in mente una storia compiuta o aver fatto uno studio dei personaggi. “All’inizio Ponyo non esisteva neppure nei miei piani. Esistevano solo un bambino senza nome e una casa sulla scogliera”.

Il bambino in questione diventa Sosuke, cinque anni, sua la casa in cima a una scogliera affacciata sul Mare Interno. Quando salverà una pesciolina rossa di nome Ponyo da un vasetto di marmellata in cui era rimasta imprigionata, cambierà il destino di entrambi. Costretta dal padre Fujimoto a tornare nuovamente con lui negli abissi dell’oceano, Ponyo provocherà addirittura uno tsunami, pur di ritrovare Sosuke, e insieme a lui dovrà lottare per salvare i due mondi e il loro legame.

Guardando per la prima volta Ponyo, la mia mente ha immediatamente richiamato a sé la Sirenetta di Hans Christian Andersen, ma anche il racconto tradizionale Urashima Taro, storia di un pescatore che salva una bellissima tartaruga e viene ricompensato con una visita alla dimora del Re del Mare in cui finisce per rimanere molto più tempo del previsto. Ognuno di noi può riempire questo racconto delle sue suggestioni, fare i suoi collegamenti, ma Ponyo rimarrà sempre una storia semplice, “adatta ai bambini” proprio come voleva Miyazaki.

Quello che interessa a Miyazaki sono la rappresentazione del mondo sottomarino, con i suoi colori purissimi e il moto incessante delle onde, e le emozioni generate dall’incontro tra lo spettatore e questo scenario meraviglioso. Non a caso l’80% del film si svolge sott’acqua. La stessa scelta estetica di disegnare interamente il film a matita e a mano, usando un tipo di colorazione che ha una resa molto simile all’acquerello, e quindi fedele ai primi schizzi elaborati dall’autore, non è fine a se stessa ma si rivela lo strumento migliore per creare un mondo mai visto prima. Le linee disegnate a mano risultano spesso curve e imprecise, ma proprio questa mancanza di “linearità” rende i disegni imprevedibili e genera dei movimenti inaspettati.

Insieme a un mondo mai visto, Miyazaki ci regala una serie di personaggi capaci di colpire con inedita forza gli occhi e la fantasia. Su tutti spicca Ponyo principessa dei pesci rossi, ben diversa dalle protagoniste della classica animazione occidentale, tanto belle quanto buone, ma anche dai tanti personaggi kawaii che popolano l’animazione nipponica, creature dall’aspetto infantile, occhi grandi ed espressivi. Ponyo è bruttina, testarda e in certi momenti perfino egoista, non a caso è proprio lei a causare lo Tsunami che sommerge la piccola città portuale abitata da Sosuke. Eppure tanto Sosuke che il pubblico continuano ad amarla, nonostante tutti gli errori e i “peccati” che commette. La forza di Ponyo sta infatti nella purezza delle sue intenzioni e nell’intensità dei sentimenti che la guidano. I paesaggi e i personaggi, assolutamente fuori dall’ordinario, ci trasmettono un senso di meraviglia e liberano la nostra immaginazione e forse faranno risvegliare il bambino addormentato che è in noi.

O forse, come afferma umilmente lo stesso Miyazaki, questo nuovo mondo animato servirà semplicemente “a dare ai bambini, quelli veri, un giorno che ricorderanno per tutta la loro vita”.

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Chiara C.Leonardo L.
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