AltrodiBlogger Erranti,9 novembre 2011
Tom Waits – Bad as me: la recensione
Dopo sei anni di incubazione vede la luce il diciassettesimo album in studio di questo figlio bastardo d’America. Sorriso diabolico e luci della città: il viaggio musicale di Tom Waits continua senza rivoluzioni. O almeno senza inaspettati sconvolgimenti; che poi a sessantanni si riescano a sviluppare tematiche e sonorità, marchio di fabbrica di una carriera, in modo sempre nuovo ed emozionante può essere di per sè abbastanza sconvolgente.
Ed è quello che succede in “Bad as me” . Una summa del pensiero waitsiano e delle possibilità sonore che animano le sue corde. Con l’aiuto determinante di una band di musicisti strordinari. Si parte con “Chicago” , una classica apertura da “Swordfishtrombones”; dietro l’incalzante blues il tema dell’emigrazione dei neri verso la città della speranza. Un spunto storico che bene incarna una tematica cara: la nostalgia di un altrove, il legame coi luoghi così forte e così mutevole.
“Talking at the same time”, pezzo cadenzato da jazz club, inscena il cupo pessimismo di una “Cold cold ground”, con l’accumolo di immagini forti e grottesche come abitudine del nostro. Oltre ad un gioco col linguaggio, di manipolazione, destrutturazione, combinazione che meglio di qualunque altro espediente esprime le forme dell’assurdo e della casualità. “Get lost” è un’altra storia di amore errante e indisciplinato, ubriaco di libertà, su note di sfrenato rock’n roll, così come il jazz di “Kiss me” è apologia di un amore mistico e ignoto. “Face to the highway”, con un incedere alla “Yesterday is here”, è una filastrocca metropolitana struggente, che fa il paio con “Pay me”, fotografia di un raindog, della vita incostante e vagabonda di chi è ai margini.
Dalla soggettività esasperata e solitaria può originare la tensione al ritorno all’indifferenziato, alla folla, all’anonimato come nella dolce ballata “Back in the crowd”. E siamo arrivati al cuore dell’album, con la title track “Bad as me” , che con parole di shakespeariana memoria recita “If you cut me I’ll bleed”. Perchè in fondo non c’è alterità, non c’è diverso, non c’è contrapposizione: Tom ci dice “siete tutti cattivi come me”, non sentitevi salvi.
L’unica consolazione: un posto di osservazione privilegiato sul mondo, quello di un’unica foglia rimasta su un albero spoglio (“Last Leaf”). E l’abbraccio di un bambino (“Tell me”). A dimostrare che sotto la scorza di alienazione, rassegnazione, incomunicabilità, solitudine, ogni uomo conserva un nocciolo vitale fatto di amore per le cose.
Scritto da Barbara Nazzari.
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Molto ben scritto e ben argomentato. Mai come in questo caso il termine “summa” è azzeccato: il Nostro ha dato alla luce un album denso e multiforme che contiene in sé l’intera tavolozza dell’anima sua.