Noah Lennox è un ex-ragazzino del Maryland che, nel “giro giusto”, utilizza lo pseudonimo di Panda Bear per dar forma alle sue idee in musica e, sempre nel giro giusto, si è fatto conoscere per quello straordinario gruppo chiamato Animal Collective.

A quattro anni di distanza dal precedente solo album Lennox se ne esce con questo Tomboy, lavoro notevole registrato in quel di Lisbona (Benfica, l’ultima traccia, ne è sentito omaggio) in un clima decisamente vacanziero e rilassato ma non per questo frivolo. Psichedelica, elettronica, musica dell’anima e sperimentalismi mai invadenti la ricetta servita per l’occasione.

E in concreto? Forse una versione electro e (decisamente) più cool degli ultimi Fleet Foxes? Anche, ma soprattutto un disco pop. Un pop con la P maiuscola, di quelli che miscelano influenze e ascolti assortiti, che vanno dalla casa madre a Brian Wilson, da Brian Eno agli Spacemen 3 di Perfect prescription fino a Ken Kesey ed ai suoi esperimenti lisergico-letterari. Facile infatti immaginarlo come ideale colonna sonora di un viaggio a bordo del Magic Bus versione 2.0 a scolarsi Electric Kool Aid da mattino a sera omaggiando le buon’anime di Neal Cassady e Jerry Garcia.

Tomboy è però anche un lavoro che richiama l’urgenza di una nuova rivoluzione con decapitazione sulla pubblica piazza di djs e programmatori radiofonici compromessi. Sì, perché in un mondo più giusto queste undici tracce finirebbero nelle playlist di qualsiasi radio. Altro che canzone dell’estate di emmetivì.

Dalla preghiera introduttiva di You can count on me all’elogio della continuità nei confronti di Merriweather post-pavillion insito nella title-track, tutto in Tomboy è esaltazione dei sensi. Slow motion spinge alla trascendenza attraverso la reiterazione mentre tastiere liquide introducono Surfers Hymn,  inno da spiaggia in chiaroscuro.

Quando poi parte Last night at the jetty hai un sussulto; sembra una reunion dei Beach Boys fatta con strumentazione elettronica. Un primo colpo da ko insomma.

Il secondo è la superlativa Alsatian Darn che apre addirittura impensabili (dal principio) collegamenti mentali coi Go betweens, come li suonerebbe Terry Riley però. A questo punto potrebbe seguire qualunque cosa con l’ascoltatore ormai in visibile solluchero ed ecco quindi la deriva cosmica di Scheherazade e l’electro-tribalismo di Afterburner.

Tomboy è in definitiva uno di quei dischi estivi da ascoltare standosene sdraiati nell’ozio più totale, sorseggiando magari qualcosa di forte e…ehm…scusate, è arrivato il mio long island…

Scritto da Fabio Plodari.

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