“E’ un simbolo perfetto dell’industria cinematografica: un uomo con un corpo forte e atletico che stringe in mano una grossa spada scintillante, e a cui è stata tagliata una bella fetta di testa, quella che contiene il cervello”.

Frances Marion, sceneggiatrice.

Si chiama Academy Award, è placcato in oro 24 carati, è alto 25 centimetri, ha un valore commerciale di 295 dollari e assomiglia allo zio di Margaret Herrick. Altro? ah sì il cinema, giusto, l’ambita statuetta viene consegnata ogni anno al maggior incasso miglior film della stagione cinematografica. La storia della cerimonia, inoltre, è segnata dal trionfo di pellicole indipendenti come “Titanic” e “Il Gladiatore”.  Non avete mai sentito parlare di questi film per colpa della pessima distribuzione italiana? tranquilli, se siete stufi dei soliti blockbuster in 3D stile “Hana Bi” potete recuperare i film di Cameron e  Scott ordinandoli online sul vostro sito russo di fiducia.

Ok, la smetto. Modalità seria on.

Grazie alle numerose candidature che vedono protagonisti i nuovi volti di hollywood la prossima cerimonia degli Academy Awards punta ad essere una delle edizioni più giovanili in assoluto. Sono in molti, infatti, gli artisti candidati al premio con un età inferiore ai 30anni (o poco più grandi), tra i quali spiccano Jesse Eissenberg (The Social Naetwork), Jennifer Lawrence (Winter’s Bone), la giovanissima Halee Stanfeld (True Grit) e James Franco (127 hours) il quale vestirà l’insolita doppia veste di candidato e presentatore della serata insieme a Anne Hathaway (un ulteriore segnale di  rinnovamento da parte dei membri dell’academy).

Ma nonostante la ventata d’aria fresca (anagrafica), voluta fortemente dal presidente Tom Sherack, le neocandidature dimostrano l’esatto contrario; il premio è vittima di una formula old style sempre più evidente: se nelle passate edizioni gli oscar sono addirittura riusciti a stupirci, da David Lynch (Mullholland Drive), a Spike Jonze (Essere John Malkovich), fino a Kateryn Bigelow (Hurt Locker, la pellicola anti-box office vincitrice dell’oscar come miglior film) e passando infine per la nomination alla regia di Pedro Almodovar (Parla con lei), quest’anno i membri dell’academy hanno puntato sul sicuro.

Se andiamo a leggere le cinquine 2011, infatti, nessuna candidatura provocherà in noi un senso di stupore: il successo di Winter’s Bone, ad esempio, che dovrebbe rappresentare la sorpresa indie di questa edizione, era prevedibile. Vogliamo parlare del resto? abbiamo un film confezionato ad hoc per l’evenienza, “Il discorso del Re”, lo pseudo blockbuster d’autore “The social network”  e   la più classica delle formule botteghino = oscar, chiamata “Inception”. E quest’ultima regola vale anche per gli insospettabili “Black Swan” e “True Grit” diventati dei veri e propri fenomeni di massa al botteghino statunitense.

Ottiene un giusto riconoscimento, invece, “I ragazzi stanno bene”, pellicola indipendente che affronta il tema della famiglia omosessuale in modo delicato senza mai  cadere nel facile tranello della bassa ironia (ottima l’interpretazione di Mark Ruffalo). Degna di nota anche  le candidatura come miglior film straniero di “La donna che canta”, rivelazione di Venezia 67, e quella per i migliori costumi a Antonella Cannarozzi “Io sono l’amore” di Luca Guadagnino, ignorato (male!) nel nostro paese e acclamato negli stati uniti.

Volete una buona ragione per sintonizzarvi su SKY il prossimo 27 febbraio? vediamo…zio Oscar ha smascherato l’omosessualità di James Dean, ha provocato degli spasmi incontrollati a Halle Berry e ha portato sul palco del Kodak Theatre abiti deliziosamente kitsch. Inoltre gli academy awards sono ancora in grado di trasmettere allo spettatore il concetto di fabbrica dei sogni (certo finto e edulcorato) con estremo fascino. L’Oscar infatti non va seguito per la sua autorità artistica, ma per ascoltare ringraziamenti in puro stile hollywoodiano  “It is true, there is some angels in this city” (Marion Cotillard) o,  ancora meglio, per vedere una star inciampare in situazioni imbarazzanti.

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