Finalmente, dopo tanto tempo, mi si è riempito il cuore a teatro! Lo spettacolo “Il popolo non ha il pane diamogli le brioche”, regia di Filippo Timi e Stefania De Santis, riesce a non prendersi troppo sul serio senza scadere nella battuta facile, ma ancora di più riesce a guidare lo spettatore in un processo d’immedesimazione con il personaggio per poi improvvisamente ricordargli che è tutta una finzione; frantuma, insomma, la rappresentazione tragica con il bisturi del grottesco, trascinando chi guarda in un flusso fittissimo di risate, lasciando in bocca un retrogusto amarognolo.

Nonostante il titolo possa sembrare fuorviante (la frase è attribuita alla regina Maria Antonietta di fronte alle richieste del popolo francese affamato), lo spettacolo, che è una originale elaborazione dell’Amleto shakespeariano, smaschera  tutta la miseria morale e umana delle persone al potere. Nella macchina tritatutto di questo Amleto nessuno dei personaggi in scena riesce a mantenere la sacralità tragica, la quale viene subito divorata dalla comicità; quest’ultima è spesso costruita su richiami al mondo cinematografico, televisivo e pubblicitario o a tecniche teatrali che creano scene surreali e grottesche: balbettii, utilizzo di diversi registri vocali, movimenti o tecniche della commedia dell’arte. Non mancano i momenti in cui cresce un nodo alla gola, che però lascia velocemente spazio alla consapevolezza di non voler ingannare più nessuno, di voler vivere con lo spettatore qualcosa senza imporglielo, cercando insomma una via per divertirsi insieme. L’asso nella manica di questo spettacolo è proprio quello di riuscire a stratificare e legare il livello tragico a quello grottesco. Quando tornerete a casa, non avrete un bel pacchetto con la classica tragedia di Amleto dentro e un bel fiocco rosso sopra.

Filippo Timi, il nostro Amleto in questione, è straordinario: una padronanza vocale degna di essere paragonata a quella di Carmelo Bene, presenza scenica, gesti puliti… potrei dilungarmi a lungo. Gli altri interpreti sono altrettanto eccezionali: Paola Fresa, Marina Rocco, Luca Pignagnoli, Lucia Mascino.

Lo sguardo si perde tra le immagini oniriche costruite con la scenografia: funzionale, con contrasti tra elementi che danno un’idea di leggerezza (i palloncini, i drappi semitrasparenti) e altri invece austeri e più sanguigni (il trono, i drappi rossi che scendono dall’alto). I costumi seguono la dinamicità dello spettacolo e creano sia delle figure abbastanza classiche – che, comunque, variano durante lo svolgimento dell’opera – sia altre totalmente ironiche (il fantasma del padre). L’udito viene coccolato e stimolato da musiche che rafforzano e sostengono i serrati cambiamenti di registro.

C’è bisogno di dire che ve lo consiglio? Soprattutto se siete stanchi di un teatro che si prende troppo sul serio.

Scritto da Anna Silvestrini.

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