Cannot be unseen: gli anime in onda in Giappone in questo periodo
Dopo aver dato un’occhiata agli anime conclusi recentemente, questa settimana ci concentriamo sugli anime che, al momento, si trovano a metà stagione o sono trasmessi già da diverso tempo in Giappone.
One Piece, Naruto, Bleach, Fairy Tail: metto insieme i cosiddetti Big Three del mercato nipponico (ovvero i titoli che in assoluto, sia sotto la loro forma manga che anime, vendono di più) e Fairy Tail, altro shonen* sulla falsariga dei precedenti (l’ambientazione in questo caso è fantasy), che sta entrando di prepotenza nella cerchia composta da questi. Per tutti e quattro le cose sono presto dette: opere di fantasia indirizzate agli adolescenti, con diversi accorgimenti (specialmente narrativi) che le rendono particolarmente accattivanti. Se ambientazione e personaggi vi prendono, il gioco è fatto (e in diversi punti non è neppure scontato o malvagio, con molti momenti di ottimo intrattenimento); d’altra parte queste opere soffrono dei problemi tipici della lunga serialità (bene o male i titoli di cui sopra hanno superato i 300 episodi televisivi, tranne Fairy Tail, ultimo arrivato, che però ha già raggiunto i 60): o hanno esaurito quello che dovevano dire, ma visto il successo si è voluto prolungarli oltre il dovuto; o hanno rimescolato così tante volte le carte che oramai lo spettatore va avanti per inerzia, più che per effettivo interesse.
Bakuman (J.C. Staff): Bakuman è, e c’è poco da fare, figo. La storia segue due studenti delle superiori nel loro tentativo di diventare, guarda un po’, autori di manga (i due formano una coppia disegnatore/sceneggiatore simile a quella che realmente compongono Tsugumi Ohba e Takeshi Obata, autori del manga da cui è tratto l’anime, e del precedente, famosissimo Death Note). Quello che ne salta fuori, all’interno dei quasi soliti schemi sul mettere alla prova se stessi, credere in sè, dar fiducia agli altri, cercare il grande amore, e altra paccottiglia del genere, è una lucidissima fotografia di come, editorialmente parlando, funziona il mercato dei manga in Giappone. L’anime mostra e spiega letteralmente tutti i retroscena del lavoro: chi sono e come lavorano non solo i disegnatori e gli sceneggiatori (e tutto lo staff di assistenti che gli viene composto attorno), ma anche gli editor, i redattori delle case editrici, i ragionamenti economici che precedono qualsiasi mossa creativa (dalla scelta di pubblicare un manga piuttosto che un altro, ai continui sondaggi d’opinione in base ai quali le case editrici spingono gli autori a modificare storie e personaggi).
Star Driver (Bones): basterebbe una parola: fabulous. Ma non tanto perché il cartone sia bello (non lo è), o interessante (viene a noia dopo tre puntate), o originale (robottoni e trasformazioni? mapperpiacere) – quanto perché i colori, le coreografie e la colonna sonora sono un incanto per i sensi. Questo, e poco altro. Come ad esempio la prima sigla di apertura, diretta da sua grandiosità Shinichirō Watanabe (il regista di CowBoy Bebop e Samurai Champloo) – guardatela.
Arakawa Under the Bridge – seconda stagione (Shaft): la sensazione, forte, è che sia strambo per il semplice piacere di essere strambo. Ma potrebbe esserci di più. Ne riparleremo quando sarà concluso. Nel frattempo, vi consiglio la sigla di chiusura di questa seconda stagione.
Toaru Majutsu no Index – seconda stagione (J.C. Staff): l’anime più apprezzato e seguito del momento. L’ambientazione è interessante (in un mondo quasi contemporaneo, popolato però di esper e di maghi in conflitto gli uni con gli altri, un ragazzo si ritrova con l’apparentemente inutile capacità di riuscire ad annullare qualsiasi altro potere o magia), tutti i personaggi hanno sale, le animazioni sono di livello più che buono, e i diversi archi narrativi sono sempre ben congegnati e presentati. Magari non segnerà la storia dell’animazione, ma un po’ di tempo per guardarlo se lo merita.
*letteralmente sta per “ragazzo”, e indica, dal punto di vista del mercato editoriale, il segmento maschile della popolazione che va dai 10-11 ai 18 anni (ovvero copre la fascia d’età pre-puberale e l’intera adolescenza). Come in altri casi, il termine di mercato corrisponde anche a un insieme abbastanza ben definito di temi e stilemi narrativi: solitamente gli shonen sono opere leggere e d’azione (sportiva, di combattimento, d’avventura etc. – sono presenti tutti i generi), in cui il protagonista è un ragazzo adolescente che deve affrontare un qualche tipo di sfida, o conseguire un determinato obiettivo. La forza di volontà dei personaggi, il sacrificio personale, lo sviluppo delle proprie abilità e l’amicizia sono caratteristiche fisse degli shonen. Elementi romantici, o che riguardano i rapporti sentimentali con l’altro sesso, sono presenti quasi esclusivamente sotto forma comica.
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leggendo e parlandone in giro, ho avuto la sensazione che sia uno di quegli anime che si ama o si odia senza mezzi termini. Come scritto, appena possibile ne riparlerò in maniera più approfondita, anche se è fuor di dubbio che l’ambientazione è originale e permette spesso passaggi di inaspettata profondità.
Questo “Arakawa under the bridge” mi incuriosisce parecchio, sarà che mi piacciono le stramberie! 😀 Però leggendo il plot mi sembra abbia anche un buon potenziale metaforico, chissà, cerco di recuperarlo al più presto!