Future Film Festival 2016. Miss Hokusai e altre recensioni
Tra Giappone e Corea del Sud, l'Estremo Oriente protagonista dei primi giorni del Future Film Festival
La diciottesima edizione del Future Film Festival è stata inaugurata dal giapponese Miss Hokusai di Keiichi Hara: è un’edizione il cui sguardo è rivolto particolarmente verso l’Estremo Oriente, con Giappone e Corea del Sud protagoniste principali. Il film di Hara è il ritratto di Oui Hokusai, figlia del grande pittore del XIX secolo Katsushika Hokusai, uno degli artisti giapponesi più celebri, in grado di influenzare anche il (quasi) coevo impressionismo: anche la figlia era pittrice – di lei sono rimaste una decina di opere – famosa soprattutto per i ritratti femminili. Il film offre una figura di giovane donna allo stesso tempo fiera, orgogliosa, malinconica e un po’ sofferente, in parte schiacciata dall’ingombrante padre e in parte capace di influenzarlo e condizionarne i comportamenti. L’elemento di maggiore forza del film, capace di amalgamare toni diversi – il comico, il fantastico con riferimenti horror e il melodrammatico, affrontato con la delicatezza e il pudore poetico tipico di molti prodotti simili giapponesi – è il flusso continuo con cui la “realtà” della narrazione e la “fantasia” delle opere d’arte (sue come del padre) si mescolano e si condizionano.
Giapponese è anche The Boy and the Beast di Mamoru Hosoda, già regista dell’ottimo Wolf Children: il film riprende alcune tematiche dell’opera precedente, rispetto alla quale è di qualche gradino inferiore (ma ad ogni modo decisamente riuscito). Ritroviamo la rappresentazione del problematico rapporto figlio-genitore e la metafora della crescita e dell’adolescenza veicolate dalla contrapposizione tra la realtà e un mondo fantastico. Soffrendo solo di qualche ridondanza nell’ultima parte, e di un quarto d’ora di troppo, il film unisce con maestria comicità, dramma intimista e azione, supportate da un apparato grafico notevole quanto tradizionale. Rivolto soprattutto a un pubblico di bambini, riesce a emozionare e a divertire anche gli adulti, soprattutto nella prima parte, quella ambientata nella città degli animali.
Abbandonando l’arcipelago e sbarcando sulla penisola coreana, troviamo On the White Planet di Hur Bum-wook, sulla carta riflessione sul razzismo e sull’incapacità di accettare e capire il diverso: protagonista è un ragazzo colorato che vive in un pianeta in cui tutto è bianco-nero, abitanti compresi: per questo è emarginato, perseguitato e costretto a esplodere tutta la sua rabbia e la sua violenza. Quella che sulla carta era un’operazione interessante viene annacquata in un racconto in cui la violenza continua, l’assoluta mancanza di speranza e il nichilismo totale vengono rappresentati in una maniera troppo palese e troppo poco filtrata e ragionata, risultando così, neanche troppo alla lunga, come parodie di loro stesse e non come strumenti per un discorso e una riflessione. È un film che mira all’eccesso, ma che non sorprende e non scuote, mancando assolutamente d’efficacia, nonostante un paio di bei momenti puramente grafici in cui l’animazione dialoga con il fumetto.