Venezia 70. Harlock – Space Pirate: la recensione
Una sfarzosa space opera in chiave dark, ma alla lunga vuota
Harlock – Space Pirate: i pirati spaziali sbarcano al Lido e la bandiera col teschio che vuol dire libertà sventola sul red carpet. Capitan Harlock, il mitico personaggio creato nel 1976 da Leiji Matsumoto e icona tra le più celebri degli anime, è protagonista di un lungometraggio in computer grafica 3D di quasi due ore, diretto da Shinji Aramaki e presentato fuori concorso a Venezia 70.
Si tratta di un reboot della serie originale del 1978, ma che fa tesoro delle rivisitazioni successive del personaggio all’interno dell’universo di Leiji Matsumoto (soprattutto della serie del 2002 Capitan Herlock: The Endless Odyssey), riscrivendone le origini e le motivazioni in chiave molto più dark e gotica. Qui il punto di vista è quello di Logan, un ragazzo che decide di unirsi all’equipaggio dell’astronave da guerra Arcadia con scopi di vendetta, ma che scoprirà di avere molti lati in comune con il Capitano.
Più che un archetipico eroe romantico, l’Harlock di Aramaki è un antieroe tragico, cinico e nichilista, carismatico ma non empatico, che porta sulle spalle il fardello di una causa divenuta una maledizione, con l’Arcadia trasformata in una sorta di Olandese Volante dello spazio. Gli fa da contraltare il giovanissimo Logan, impulsivo e un po’ sballottato dalle parti in guerra, che sostituisce Tadashi Daiba come successore ideale del Capitano. Per il resto, la ciurma è quella storica, con la bionda Yuki Kei, sempre dolce e devota, il grasso Yattaran (trasformato in un campione del corpo a corpo, ma comunque goffo) e l’eterea Meeme, che qui ha un volto tipicamente alieno e appartiene all’antico popolo dei Nibelunghi, come nella versione presentata in Harlock Saga (miniserie del 1994).
Un compromesso fra innovazione e tradizione è, dunque, il punto di partenza per un kolossal cupo, sfarzoso, ma alla lunga vuoto, ineccepibile sul piano visivo (con battaglie galattiche davvero spettacolari, grazie a una resa perfetta della grafica digitale e di un 3D stereoscopico per una volta non pleonastico), ma discutibile su quello narrativo. La trama è eccessivamente complessa, a tratti incomprensibile, e appesantita da troppi spiegoni prolissi, che diminuiscono inevitabilmente il coinvolgimento emotivo. Dai dialoghi – pieni di frasi a effetto, ma spesso criptici – emerge qualche tentativo di riflessione non banale sull’espiazione degli errori del passato e sulla forza della verità contrapposta alla fragilità delle illusioni, ma il concetto di libertà e il romanticismo della serie del 1978 – alla quale vengono disseminati riferimenti, specie nel rapporto fra Harlock e il computer senziente dell’Arcadia, che rimane tuttavia soltanto abbozzato – sono completamente assenti. Si evita uno sterile manicheismo (tutte le parti in gioco hanno qualche scheletro nell’armadio, e anche gli antagonisti – soprattutto Ezra, il fratello invalido di Logan – mostrano un’anima tormentata dai dubbi e dal senso di colpa), ma i personaggi sono piatti e, per colpa della trama, le loro scelte spesso appaiono immotivatamente ciniche (come nell’assurdo prologo in cima alla montagna) o rasentano la schizofrenia (con Logan che cambia fronte tre o quattro volte).
In conclusione, abbiamo per le mani un film d’animazione confezionato in maniera impeccabile, ma carente nel contenuto, al quale spetta il merito di aver avvicinato i neofiti al personaggio di Harlock e a quel capolavoro irripetibile che fu la space opera di Leiji Matsumoto, ma al tempo stesso il demerito di averne tradito lo spirito originale senza avere il coraggio di distaccarsene completamente.
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Regista: - Sceneggiatore:
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Grazie! 🙂
Entro le vacanze tornerò a vederlo, stavolta in italiano, ma senza Leiji in sala! 🙁
Nel frattempo, mi sono rinfrescato la memoria guardandomi tutta la serie originale in DVD, così potrò apprezzarlo di più (o di meno).
Ottima recensione, complimenti =)!