Locarno 66. Indebito e altre recensioni
E’ uno sguardo peculiare quello del Festival del Film di Locarno, uno sguardo di frontiera, che si apre al mondo, esplorando quei territori a metà tra passato e presente, tra sé e altro, come incontro di civiltà, esperienze, percezioni. Uno sguardo che trova perfetta rappresentazione nella selezione dei film in concorso e fuori concorso, tutti fortemente voluti, come più volte ribadito dal nuovo Direttore artistico del Festival, Carlo Chatrian .
Come Indebito di Andrea Segre, nella sezione Fuori Concorso, un documentario che segue le vie dei rebetes greci, guidati dal baglamas di Vinicio Capossela, interprete e co-autore.
Le radici sono un piccolo ramo sul quale si appoggia l’anima, come se fosse una farfalla. Senza quel ramo l’anima non saprebbe dove appoggiarsi, morirebbe o dovrebbe volare in un altro luogo. (Giorgis Christofilakis)
Le radici sono quelle a cui ritornare ai tempi di una crisi che, come quella più antica da cui nasce la musica rebetika, dopo l’incendio di Smirne del ’22, toglie orizzonti e prospettiva ma non l’essenziale, la coscienza di ciò che è inalienabile: la dignità di ogni uomo anche nella perdita e nella povertà. Un dolore antico che attraversa la Storia, si fa canto d’amore, di resistenza, di satira politica, unisce gli uomini con una lingua comune che è quella della musica e del canto. Dolore di ieri, nelle taverne di Monastiraki, e di oggi, dopo gli scontri di piazza Syntagma. Un documentario importante che si fa perdonare anche gli interventi un po’ troppo compiaciutamente hipster di Capossela.
Nella sezione Fuori Concorso anche il bellissimo A spell to ward off the darkness dei visual artists Ben Russell e Ben Rivers, una sinfonia per immagini che accompagna la ricerca di senso di un uomo e l’esorcismo della paura, in tre tappe così diverse tra loro ma così profondamente legate: la vita in un collettivo su una piccola isola estone, il viaggio solitario nel Nord della Finlandia, la performance a Oslo in una band black-metal. Un lavoro che dimostra ancora una volta, se mai ce ne fosse bisogno, come il territorio a cavallo tra film, documentario e videoarte sia uno dei più affascinanti e fertili per il futuro del cinema.
Così come il film di Russell e Rivers, anche E Agora? Lembra-me di Joaquim Pinto è pervaso dalla compenetrazione di elemento umano e naturale. Nel corso dell’anno che il documentario registra, di ricerche e cure per l’epatite C e l’HIV da cui il regista è affetto, Pinto affronta un’esplorazione radicale di ciò che significa essere uomo, metà DNA metà memoria, geneticamente meno complesso di un pomodoro ma strenuamente convinto di poter conoscere e controllare tutto attorno a lui, con la scienza, la religione, la registrazione ossessiva di dati e numeri. Quando solo l’amore di un uomo – o di un cane – salvano dall’ineluttabilità della malattia e della morte.
Il rapporto tra interno ed esterno è centrale anche in Exhibition di Joanna Hogg, ma nel senso di un interiorità estroflessa nei muri, nelle porte e nelle finestre di una casa che diventa architettura dell’anima. In questo delicato equilibrio di aperture e chiusure, in cui i due protagonisti si nascondono, si negano o si cercano, matura una trasformazione: il rituale catartico della distruzione di quei muri che proteggono e imprigionano e infine l’idea di una mostra, in cui dare forma a una vita altra, improvvisata, ogni giorno diversa.
Scritto da Barbara Nazzari.
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