AltrodiBlogger Erranti,4 aprile 2012
120 chili di jazz: la recensione
César Brie (qui in 120 chili di jazz, presentato al Teatro delle Maddalene di Padova all’interno della rassegna Universi Diversi) è uno di quegli attori che non recitano: lui fa, è lì al centro del palco e ti racconta una storia. Non ti mostra quanto è bravo, quanto riesce a fare le vocine strane o quante contorsioni riescono a fare le sue articolazioni, no, lui è sulla scena e ti racconta la storia di Ciccio Méndez e dei suoi 120 chili di jazz. Questo non significa che l’artista non utilizzi diversi registri vocali o che non abbia padronanza di ogni piccolo movimento corporeo e del suo conseguente significato scenico, ma, al contrario, evidenzia la capacità di non abusarne, tanto che la sensazione che arriva allo spettatore è la naturalezza e la coerenza di ogni cosa; non esiste la quarta parete, non c’è la divisione tra scena e platea: in quel momento César Brie sta parlando con te, e quando si rivolge al pubblico non lo fa con odiose false domande retoriche da imbonitore che ti chiede di partecipare perché sa che tanto non ti alzerai mai dalla sedia – piuttosto, interagisce come farebbe un amico al bar che ti racconta una storia, dialogando e interagendo genuinamente con chi ha di fronte.
In scena da solo, su di una sedia e con un completo nero con tanto di fazzoletto nel taschino della giacca, Brie racconta la storia di questo Ciccio Méndez, un uomo innamorato che vuole partecipare alla festa della donna che gli ha rubato il cuore; e non importa quanto sia spoglia la scena: tramite le parole di Brie si riescono benissimo a visualizzare tutti i dettagli del racconto, dagli invitati fino alla decorazione delle tovaglie sui tavoli. La potenza evocativa in scena è straordinaria e l’attenzione è totalmente rapita per cinquanta minuti; oltre alla capacità attoriale è sicuramente da sottolineare la precisione del testo, scritto dallo stesso Brie. La storia risulta molto divertente e ha un sapore di favola: il protagonista insegue il sogno di partecipare alla festa dell’amata, festa dove però non è stato invitato; escogita allora un piano, ovvero di sostituirsi al contrabassista del complesso jazz che suonerà all’evento. Peccato però che Méndez non sappia suonare lo strumento; tuttavia, una volta compiuta la sostituzione di persona, riesce a fare una straordinaria imitazione vocale del suono dello strumento, arrivando addirittura a ottenere l’attenzione e la stima della festeggiata, la quale, sebbene affascinata dalla sua prestazione, lo rifiuta perché troppo grasso. E qui arriva la parte migliore: la donna abbandona il protagonista, che però non ci pensa nemmeno di piangersi addosso o di mettersi a dimagrire, accettandosi così com’è e allo stesso tempo non dimostrando acredine nei confronti della donna. Il tutto condito dal divario tra la bassa condizione economica di lui e la posizione altolocata di lei. La morale, in sostanza, sembra quella di non arrendersi e rincorrere i propri sogni senza mai perdere di vista la propria dignità, ma ancor di più di non tradire mai ciò che ci rende unici.
La prestazione attoriale dell’artista argentino è, come già anticipato, eccezionale, e del resto César Brie può vantare nel suo lungo percorso teatrale di aver prima lavorato con Iben Nagel Rasmussen nel Gruppo Farfa, poi con l’Odin Teatret fondato da Eugenio Barba, e di aver fondato quindi nel 1991 il Teatro de Los Andes assieme a Naira Gonzales e Giampaolo Nalli. Senza dubbio l’essenzialità dei mezzi impiegati nello spettacolo deriva da questo suo profondo background tecnico e culturale, e mostra come la semplicità sia uno strumento efficace per rivelare – le persone, le situazioni, le storie, i modi di vita.
Scritto da Anna Silvestrini.
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