Innamorati dei cartoni animati, I Cavalieri dello Zodiaco
I Cavalieri dello Zodiaco, fratelli nello spirito. Il Male sta prendendo il sopravvento, tanto che Atena, per salvare il mondo, si reincarna in Saori, una fanciulla umana affidata alle cure di Mitsumasa Kido, mecenate destinato a far rivivere la leggenda dei Saint, non i Santi della tradizione cristiana, ma i sacri guerrieri che, nella mitologia classica, combattevano per le divinità. Questa è la premessa di un celebre manga di Masami Kurumada, ma soprattutto di un anime che può vantare il tratto morbido e maturo del compianto Shingo Araki. Le due versioni dei Cavalieri dello zodiaco (Saint Seya), animata e cartacea, sono in realtà molto diverse.
Da un punto di vista narrativo, perché l’articolato e spesso oscuro mondo di Kurumada viene sciolto e addolcito per rendere la versione animata adatta al grande pubblico, ma soprattutto da un punto di vista grafico, perché il design e l’animazione della serie sono affidate al tratto di Araki, all’epoca già noto per Goldrake (1975) e Lady Oscar (1979). Con la sua versione animata della storia dei giovani “santi”, Araki riscuote il maggiore successo, generando fenomeni di culto che travalicano i confini giapponesi, toccando addirittura il Brunei e l’Indonesia.
L’aspetto più affascinante del mondo dei Cavalieri dello zodiaco (Saint Seya), è che solo apparentemente i combattimenti tra “santi” sono al centro della narrazione. A un livello più profondo ogni battaglia si rivela un espediente per sottolineare il valore dei rapporti affettivi e riconfermare l’importanza di virtù come la lealtà e il senso di sacrificio, tipiche dell’etica dei Samurai, a cui questi guerrieri “moderni” si ispirano.
Tanto nell’anime quanto nel manga, è proprio esplorando il rapporto fraterno più stretto dal punto di vista fisico, quello tra Ikki della Fenice e Shun di Andromeda, che si sottolinea la necessità di una corrispondenza che vada oltre al legame di sangue, arrivando a toccare l’anima. Condividere gli stessi genitori non è sufficiente a unire le persone e solo riconoscendo e coltivando una sintonia interiore e spirituale Ikki e Shun diventeranno, nel corso della storia, “veri” fratelli.
Nel periodo dell’infanzia, la natura ribelle e solitaria di Ikki, il fratello maggiore, e quella remissiva e pacifica di Shun, il fratello minore, disegnano un legame che diventa una sorta di scudo rispetto alle aggressioni e agli interventi esterni, ma imprigiona anche i due fratelli in una sorta di modello statico dove Ikki è sempre colui che prende le decisioni e imprime un corso alle azioni, mentre Shun si lascia guidare e si limita a moderare l’aggressività del fratello. Raggiunta l’adolescenza e conquistata l’armatura da Saint, Ikki e Shun si trovano, però, a combattere su fronti opposti.
E’ solo nello scontro finale con gli altri Saint che Ikki viene costretto dall’evidenza a rimettere in questione le sue convinzioni e il rapporto con il fratello. Seiya di Pegasus riesce, infatti, a sconfiggerlo non perché sia individualmente superiore, ma perché la sua forza si somma a quella dei suoi compagni di battaglia: “sento che il cosmo (spirito) degli altri mi sta avviluppando! Significa che non sto combattendo da solo. Tu hai abbandonato sia l’amore, sia l’amicizia, sia le tue lacrime, non puoi vincere in nessun modo, Ikki“. Una volta sconfitto, Ikki riconoscerà che Seiya ha trionfato grazie all’affetto che lega dei fratelli, di sangue e di spirito, come i Saint.
E’ dunque il legame spirituale che conta: a rendere fratelli i Saint è la loro disponibilità a sacrificarsi l’uno per l’altro, il riconoscimento del valore reciproco, la volontà di combattere fianco a fianco per realizzare un obiettivo comune. Nel corso della narrazione, infatti, il riferimento al legame “fraterno” diventerà spesso un’occasione per rimarcare una condivisione di valori e in questo senso Ikki della Fenice, schieratosi all’inizio dalla parte del male e solo in un secondo tempo riconquistato al bene, dirà a Hyoga del Cigno: “odiavo disperatamente il mio destino quando ero piccolo, ma ora lo ringrazio perché sono nato in questo mondo come fratello di un uomo come te”.
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