Roma 2015. The Whispering Star e altre recensioni
Il festival continua con lo struggente e poetico Sion Sono. Non convince "Monster Hunt" di Raman Hui.
Una delle opere migliori viste finora nella Selezione Ufficiale di Roma 2015 è The Whispering Star di Sion Sono, con il quale il prolifico regista nipponico torna in una rassegna italiana a due anni dal delirante Why don’t you play in Hell? presentato a Venezia 70. Qui siamo in presenza di un’opera di tutt’altro stile e toni, che ci accompagna nel viaggio interstellare, a bordo di un’astronave a forma di casa terrestre, di un’androide dalle sembianze di donna (impersonata dalla moglie del regista Megumi Kagurazaka) impegnata a consegnare pacchi a destinatari sparsi per la galassia. Sion Sono mette in scena in uno splendido bianco e nero l’elegia di un’umanità quasi estinta, sparsa in pianeti desolati – che richiamano le devastazioni postnucleari di Fukushima, ai cui sopravvissuti il film è dedicato – e sconfitta da quella tecnologia a cui ha dato vita e che le ha tolto la vita. In questo contesto, i rimasugli di un’epoca passata, anche i più insignificanti, assumono grande valore simbolico, mentre nel concetto di attesa risiede la salvezza da un progresso selvaggio che, annullando l’importanza di tempo e spazio, ha privato l’uomo del gusto di vivere. Se il riferimento più immediato è la fantascienza intimista della quale Solaris di Andrej Tarkowskij rimane il modello inarrivabile, riprendendone il ritmo lento e riflessivo, il decor retro dell’astronave postale e la malinconia che caratterizza la ragazza robot – lei, che dovrebbe limitarsi a ripetere all’infinito le azioni per cui è stata programmata, ma che prova curiosità per le emozioni e i sentimenti che appartengono agli umani – fanno pensare a certe invenzioni di Leiji Matsumoto (in particolare Galaxy Express 999), dando vita a una space opera struggente e dallo spessore poetico fuori dal comune.
Ha deluso le aspettative, al contrario, Monster Hunt di Raman Hui, fantasy che mescola live action e animazione digitale. Diretto dall’animatore di Hong Kong che si è fatto le ossa alla Dreamworks con la saga di Shrek (divenendo co-regista del terzo capitolo), Monster Hunt vede incrociarsi, sullo sfondo di un Oriente fiabesco in cui umani e creature mostruose si contendono il dominio della Terra, le strade del piccolo Wuba, legittimo erede al trono dei mostri, e di due giovani cacciatori di mostri, che si ritrovano a occuparsi del neonato proteggendolo da un orripilante usurpatore. Enorme successo di pubblico in Cina, a occhi più smaliziati appare un prodotto che non si eleva dalla mediocrità, fiacco nel ritmo e non impeccabile tecnicamente (specie nell’interazione fra attori e modelli 3D). Dietro una storia debole e una caratterizzazione scialba, emerge un timido accenno di critica alle abitudini alimentari dei cinesi, sottolineata anche dal character design vegetale e mangereccio della creaturina, ma il discorso non viene sviluppato adeguatamente e tutto si risolve in una favoletta convenzionale e poco accattivante anche per i bambini, ai quali è principalmente indirizzata.