Child of God di James Franco: in diretta dalla 70esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (o, per gli amici, il Festival di Venezia), i migliori (e i peggiori) botta e risposta della conferenza stampa.

In sala stampa Scott Haze e il regista, James Franco.

D: Mi parli del personaggio, metà serial killer e metà Charlot?
JF: Performance incredibile di Scott. Molti lo considereranno un maniaco trovato nella foresta. Ho chiesto a Cormac McCarthy perché ha scritto il libro, ma non mi ha dato una risposta precisa. E’ un personaggio estremo, estromesso dalla società, che vuole interconnettersi ma non è capace. Mi ha colpito la scena in cui cerca di nasondere un cadavere. E’ un assassino poco bravo, un povero essere che non sapeva cosa fare.

D: Lester ha una fisicità incredibile, un certo umorismo. Può parlarne?
SH: E’ goffo, cercavo di mettermi in sintonia con lui attraverso la compassione. Ho passato in rassegna la sceneggiatura per vedere quali elementi di me potevo mettere.
JF: Scott è vissuto in isolamento per tre mesi, quando è arrivato sul set non parlava con nessuno.

D: Perché ha scelto la regia, e perché la storia di un emarginato?
JF: Vedo recitazione e regia come due mezzi diversi di raccontare una storia, da due punti di vista. Con la regia si amplia il proprio orizzonte, la propria responsabilità, si aiuta a raccontare una storia. L’isolamento fa parte di molti film che ho fatto, cerco di esplorarlo. Mi sono venuti i brividi leggendo questo libro, mi ci è voluto un po’ di tempo per acquistare i diritti da McCarthy.

D: La riflessione sull’isolamento è anche una riflessione sul processo artistico?
JF: Negli altri film che ho fatto ho parlato di artisti, concentrandomi su individui con una propria visione del mondo, che a volte li porta a isolarsi. Lester invece vorrebbe far parte della società ma non ne è capace.

D: La società del film sembra folle e isolata quanto il protagonista.
JF: Lester è stato ispirato da Ed Gein, un vero serial killer, che è stato reso dai suoi compaesani protagonista di uno spettacolo. Lo sentono molto vicino, non sono colpevoli quanto lui ma sono comunque folli, matti e violenti, anche se lui è il caso più eclatante.

D: C’è violenza nel film?
JF: Rispetto alla media di quello che viene mostrato, il film non è violento per nulla. Non si tratta di un thriller o di un horror, non si basa sulla violenza, ma sullo studio del personaggio.

D: Perché una modifica alla fine del film? Sembra una ripetizione all’infinito di quello è che già successo.
JF: Cormac McCarthy menziona altri folli in carcere come Lester. Ha una visione molto grigia della società, la violenza si riproduce, si ripresenta nella storia dell’uomo. C’è un ciclo di violenza che si ripete.

D: Perché ha scelto di apparire in un ruolo minore?
JF: Che posso dire? Non c’erano altri ruoli. Non ho voluto interpretare il protagonista per non attirare troppa attenzione su di me.

D: Perché ha scelto la musica country per la colonna sonora?
JF: Abbiamo girato in Virginia, alcune delle canzoni sono di musicisti locali che hanno composto e suonato per noi. Scott ha un certo personaggio per cui non abbiamo repulsione, volevo far uscire con la musica i lati di Lester con i quali collegarsi a lui, renderlo più accettabili.

D: Qual è il suo background? Conosce il film Deranged, che fra i film sui serial killer è quello che più somiglia al suo?
JF: Deranged? No. Amo i fratelli Dardenne, Taxi Driver è stato un modello, il protagonista è pazzo ma ha un’attrattiva, e vuoi seguirlo. Raramente abbiamo un personaggio simile come protagonista.

D: Scott, ci sono performance che hai guardato?
SH: Il Joker di Heath Ledger e appunto Taxi Driver. Sapevo di dover perdere peso, di affrontare una realtà diversadalla mia come il Tennessee.

D: Com’è il JF regista, e quando trovi il tempo per dormire?
SH: Per molti la regia è un’intrusione, a me ha dato completa libertà e tanto aiuto, lavorare con James è l’esperienza migliore mai vissuta. C’è una parte di lui attore che ascolta. Quando dorme? Adesso, sta dormendo adesso.

D: Il regista ha detto che lei ha vissuto in isolamento per tre mesi. Come ha trovato la preparazione per il ruolo? Deve essere difficile.
SH: Sapevo di avere grande responsabilità, il film esplora la condizione umana del sentirsi isolati. Non è la cosa più piacevole e figa, ma dovevo portare tutti gli aspetti di quell’esperienza.

D: Come ha considerato il film come aspetti visivi e stilistici?
JF: Abbiamo considerato vari aspetti, i fratelli Dardenne, ma anche La febbre dell’oro di Chaplin, per le scene dell’uomo che vive nel capanno. Avevo in mente di rivelare progressivamente ogni aspetto della vita di Lester.

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