Cannes è sempre Cannes. Il mondo può essere in crisi, l’Europa in tempesta, eppure, almeno apparentemente, nella bolla dorata del festival tutto appare immutato. L’ordine paziente delle file di accreditati (sono la stampa è un piccolo paese di 4600 abitanti), l’eleganza sobria dei direttori artistici che presentano le proiezioni in sala, la vita frenetica dei turisti che brulicano incuriositi per i vicoli del centro e, ovviamente, sua maestà, il cinema.

Tanto per dare l’idea di cosa significa vivere, da cinefilo, un Festival di Cannes le prime due giornate presentavano, nelle varie sezioni: il film d’apertura Moonrise Kingdom di Wes Anderson, due preziosi documentari sui maestri Woody Allen e Roman Polanski, il primo film realizzato in Egitto dopo la rivoluzione, Baad el mawkeaa (After the battle) di Yousry Nasrallah, e poi Jacques Audiard, il turco Nuri Bilge Ceylan, Lou Ye, Michel Gondry, Apichatpong Weerasethakul, Xavier Dolan e Fatih Akin.

Anche programmando al meglio la propria giornata, saltando di sala in sala, è impossibile seguire tutta la maestosità del festival, cercando magari di trovare, nei programmi di Un certain regard, de la Semaine de la critique e de la Quinzaine des réalisareur, la perla nascosta. Ci accontentiamo dunque (si fa per dire) di aver visto il divertente Moonrise Kingdom, ennesima prova d’autore di Wes Anderson che, con il consueto tocco indie, colorato e vagamente vintage, dirige con maestria un cast di grandissimi attori (fra cui il suo feticcio Bill Murray) e i due giovanissimi e straordinari protagonisti. Straordinari come straordinaria è la vita di Roman Polanski, raccontata nel documentario intervista Roman Polanski: a film memoire dal regista Laurent Bouzereau. Un ritratto toccante, con punte di incredibile empatia, quello che ripercorre le vicende del grande regista di origine polacca, dall’infanzia nel ghetto di Varsavia ai successi cinematografici, dall’omicidio dell’allora compagna Sharon Tate alla fuga dagli Stati Uniti.

Non può dirsi altrettanto straordinario e interessante il documentario di Fatih Akin Müll im garten Eden. L’inchiesta dal regista di Soul Kitchen sulla discarica di Camburnu in Turchia, seppur dettagliata e giornalisticamente ben condotta, non coinvolge  e lascia solamente aperte alcune annose domande. Il problema dei rifiuti, che sia quello di casa nostra o della lontana Turchia, sembra avere sempre gli stessi inquietanti contorni.

Il festival comunque sembra partito con i migliori auspici, in attesa del nostro Matteo Garrone, del maestro Bertolucci, di Cronemberg, di Ken Loach, Haneke, Mungiu. Insomma, siamo davvero solo agli inizi. Ma come si sa, chi ben comincia….

Scritto da Giampiero Tempesta.

Continua a errare su Facebook e Twitter per essere sempre aggiornato sulle recensioni e gli articoli del sito.