Serie TV, qual è il miglior telefilm del 2011? Se fra un tortellino e un cappone, un pandoro e un’overdose di parentado a suon di “maquantoseicresciuto?!” e “cel’haiilfidanzatino?” le feste vi hanno tolto ogni energia, non disperate: Cinema Errante vi propone la via di fuga ideale per raggiungere mondi lontani senza nemmeno muovere un muscolo. Il periodo di Capodanno, si sa, è tempo di bilanci, una pratica quanto mai necessaria nel panorama televisivo, sempre più invaso da false partenze, possibili successi stroncati sul nascere, serie che proseguono in pompa magna senza esserne all’altezza e altre che invece meriterebbero più attenzione ma finiscono per passare in secondo piano nel mare di proposte più o meno valide. Dopo la panoramica sui pilot 2011/2012, abbiamo quindi selezionato per voi le serie migliori iniziate o giunte a conclusione nell’anno appena finito (in ordine rigorosamente alfabetico, dato che sarebbe impossibile stilare una classifica di generi così diversi tra loro). Buona visione!

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Breaking Bad (AMC)

La quarta stagione di Breaking Bad è un pugno nello stomaco, completamente priva di morale. Se all’inizio della serie Walter White appare come un personaggio scorretto ma comprensibile, quest’anno il cerchio si chiude di fronte all’evoluzione di un anti-eroe, indigesto e tossico, per il quale non si prova più nemmeno un briciolo di compassione. Se aggiungiamo poi una sceneggiatura e una regia estranee al piccolo schermo e un cast eccellente, possiamo ribadire, ancora una volta: questa non è televisione, è Breaking Bad!

Game of Thrones (HBO)

E’ vero che il materiale di partenza, la saga Cronache del ghiaccio e del fuoco di G.R.R. Martin, aveva già tutto: ma rendere sul piccolo schermo in soli dieci episodi la complessità, l’approfondimento psicologico, la crudeltà e la grandezza di “A Game of Thrones”, primo volume della saga (primi due nella versione italiana), non era cosa da nulla. Gli autori David Benioff e D.B. Weiss ci sono riusciti benissimo, e ci hanno sorpreso, stregato e terrorizzato con freddi intrighi e sangue a fiumi, uomini d’onore e usurpatori criminali, zombie di ghiaccio e draghi. L’attesa per la seconda stagione è febbrile: the cold winds are rising!

Homeland (Showtime)

Un soldato americano rilasciato dopo otto anni di prigionia in Iraq; un’agente della CIA disturbata che non si fida di lui, perché sa da fonti certe che qualcuno dei loro “è passato dall’altra parte”. La trama è davvero complessa per essere riassunta in due righe: ossessioni complottiste, ambiguità esasperate, vita pubblica contro vita privata, un punto di vista sul terrorismo coraggioso e non accomodante. Una serie non perfetta, ma con diversi momenti da salto sulla sedia e un’invidiabile costruzione dei protagonisti, merito dei bravissimi Claire Danes e Damian Lewis, ma anche dei perfetti comprimari Morena Baccarin e Mandy Patinkin.

Hung (HBO)

Hung è un buon prodotto: non eccelso, ma sufficientemente buono. Senza ricorrere a una comicità ovvia, fotografa la recessione degli stati uniti con uno sguardo cinico e malinconico non disprezzabile. Nelle prime due stagioni lo show si è concentrato quasi esclusivamente sul protagonista, un ottimo Thomas Jane (chi l’avrebbe mai detto?), ma lasciando un po’ in disparte gli interessanti personaggi secondari e senza mai sviluppare veramente i presupposti di base. Quest’anno la serie ha finalmente mostrato tutto il suo potenziale: è riuscita a far evolvere in modo interessante trama e personaggi e ha trovato un buon equilibrio tra comedy e drama. Ironia della sorte, dopo la crescita e le nuove e interessanti premesse, la HBO ha cancellato la serie il 20 dicembre scorso a causa del calo dei telespettatori. Nomination ai Golden Globe 2012 come “miglior attore in una serie comedy” per Thomas Jane, il superdotato Ray Drecker.

New Girl (FOX)

Proseguono le piccole e grandi avventure quotidiane della spumeggiante Jess, che dopo aver colto in flagrante il fidanzato infedele aveva preso armi e bagagli e si era trasferita in un appartamento condiviso con tre ragazzi. La pausa natalizia coincide con il nuovo breakup della protagonista, che non riesce a trovare la giusta alchimia col contraltare maschile Ben, collega pur piacente e altrettanto incline a mettersi a cantare nei momenti più disparati. La storyline principale dell’evoluzione di Jess si interseca con i percorsi degli altri personaggi (in particolare del coinquilino Nick, prescelto dal pubblico sin dalle prime scene), seguendo ritmi rilassati da sit-com che evidenziano la quotidianità e i problemi più immediati lasciando che il fil rouge principale si dipani lentamente fra una gag e l’altra. L’originalità della serie non sta tanto nella trama, che segue dinamiche abbastanza prevedibili, quanto nell’incredibile carisma di Zooey Deschanel, che si è guadagnata non solo due nomination ai Golden Globe (una per sè e una per lo show), ma anche l’aggettivo “adorkable” (“adorable” + “dork”, una sorta di “nerd adorabile”) e che regala un tocco innovativo e accattivante.

Once Upon A Time (ABC)

Chi l’avrebbe mai detto che gli autori di Lost si sarebbero cimentati con il mondo delle fiabe? E invece lo fanno e ci riescono davvero bene in Once Upon A Time, in italiano C’era una volta. Arrivati al settimo episodio, gli adulti “buoni” di Storybrooke iniziano a comprendere le convinzioni di Henry, mentre emergono sentimenti difficili da scacciare, nelle fiabe come nel Maine. Contemporaneamente, gli intrighi della malefica Regina iniziano a scoprirsi, ed è sempre più chiaro che il vero burattinaio di tutto è Tremotino. La carrellata di personaggi fiabeschi raccontati tra favola e mondo reale finora è (quasi) sempre convincente. L’ottimo cast e il giusto mix tra romanticismo e leggerezza fanno il resto. Continuiamo così!

Revenge (ABC)

Emily Thorne continua la sua vendetta sotto il patinato sole degli Hampton: cast perfettamente in parte (tutti geneticamente bastardi), sceneggiatura solida, intrighi a non finire e facce basite da soap-drama confermano Revenge come l’imperdibile “guilty pleasure” del 2011. Lo show ha inoltre abbandonato la repititiva struttura procedurale “Revenge of the week” a favore di una storyline trasversale più fluida e piacevole da seguire. Nomination ai Golden Globe 2012 come “miglior attrice in una serie drammatica” per Madeleine Stowe, l’algida Victoria Grayson.

Shameless U.S. (Showtime)

Difficile rimanere indifferenti alla follia dei Gallagher, famiglia che definire disastrata è un eufemismo: sei fratelli di ogni età lasciati a se stessi dal padre alcolizzato, egoista ed impresentabile. Tragedia? Nemmeno per sogno, i Gallagher preferiscono ridere delle proprie disgrazie, e noi con loro, di fronte ai rocamboleschi metodi di sopravvivenza di Fiona, Lip e gli altri. Però poi quando Shameless decide di far piangere, ci riesce alla grande. Sicuramente uno dei migliori debutti del 2011, con un cast perfetto, a cominciare dall’irresistibile William H. Macy nei panni del patriarca Frank. A gennaio la seconda stagione, ma nel frattempo i Gallagher vi augurano buone feste a modo loro.

Skins (E4)

Cambiare l’intero cast per la terza volta consecutiva e mantenere la stessa freschezza e le peculiarità che hanno reso “Skins” uno dei migliori teen drama in circolazione non era un’operazione priva di rischi. Rispetto alle stagioni precedenti manca un po’ di coraggio, ma poco importa: con la terza generazione gli autori hanno dimostrato di essere ancora capaci di tratteggiare degnamente le paure e le sfide dell’adolescenza. Ottima la colonna sonora che spazia dagli Arcade Fire agli Akron/Family.

Suburgatory (ABC)

Saper gestire bene il topos forse più abusato nella storia delle serie televisive (l’arrivo di una famiglia outsider in un universo codificato e conservatore in ogni senso) non è cosa da poco. Dopo averlo declinato in modi diversi nelle otto stagioni di Desperate Housewives, ABC continua a servirsene per esplorare l’americanissima Suburbia, stavolta con un tono più leggero condito da una satira “zoologica” in stile Mean Girls. Se gli scontri fra gli urbanites Altman (l’ironica sedicenne Tessa e l’aitante padre separato George, interpretati da Jane Levy e Jeremy Sisto) e la borghesia di plastica di Chatwin non sono certo inediti (manca forse qualche guizzo à la Tina Fey), colpiscono invece la freschezza della presentazione, l’alchimia tra padre e figlia e l’irrisolta love story con la loro Manhattan. Una nota di merito anche per la buffa Lisa (Allie Grant), figlia della Stepford wife Sheila, che si oppone alla madre col suo esilarante connubio di goffaggine e ribellione adolescenziale.

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