64° Festival di Cannes – Diario Vol. II
La croisette dei papillon e del lusso è solo una faccia del festival di Cannes. Nel meraviglioso mondo de Le festival si può vivere anche con pochi centesimi al giorno. Basta sfruttare le migliaia di occasioni mondane che la croisette offre. Si può ad esempio fare un salto in uno dei padiglioni nazionali che affollano Le Pantierò, fra una cena caraibica allo stand francese e una degustazione di prodotti tipici fra le bandiere di casa nostra, o lanciarsi in balli sfrenati in uno dei locali che costellano il lungomare. La caccia agli inviti è sport nazionale durante le festival.
Ma noi siamo qui per il cinema (lo ripetiamo a noi stessi come un mantra) e anche se profondamente delusi dalla visione di “Arirang” di Kim Ki Duk, continuiamo ad accodarci ad altre centinaia di accreditati per entrare in sala. Lars Von Trier e Almodovar, Terrence Malick e Miike, gli autori francesi e quelli amati dai francesi (fra cui l’incomprensibile Naomi Kawase) hanno popolato questi giorni di concorso animando i dibattiti della critica. A noi però il festival piace viverlo nelle piccole sale della Quinzaine o de La Semaine, alla ricerca di nuovi autori e spunti di riflessione.
Un giro del mondo in 40 film che vola in poche ore dalle Filippine (con l’intenso “Busang”, primo film del popolo Palawan) al Sud Africa (rappresentato dal piatto “Skoonheid”), dalla Norvegia (e dai cieli grigi di Oslo, “31 August”) alla Bulgaria (dal fresco road-movie adolescenziale “Avè”) fino ad arrivare in Romania il cui “Loverboy“, film di Catalin Mitulescu, è, per noi, la vera sorpresa di questo festival (insieme a “The Artist”, film praticamente muto, girato in bianco e nero, non certo passato inosservato nella selezione ufficiale).
E ora, proprio mentre finiamo di scrivere queste righe, le luci si stanno abbassando di nuovo, ci attende “The day he arrives” di Hong Sang-soo, prima di incontrare Takeshi Miike e di vedere in sala This must be the place di Paolo Sorrentino…
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Scritto da Giampiero Tempesta.