Mad Men 6×05: la recensione
Dopo l’assassinio di John Fitzgerald Kennedy in The Grown Ups, il quinto episodio della sesta stagione di Mad Men, The Flood, mostra l’ennesimo confronto dei personaggi, e di un’intera nazione, con la morte: l’omicidio di Martin Luther King. Ma qualcosa è cambiato.
“Free at last, free at last. Thank God Almighty, we are free at last“. Finisce così Il discorso del Re, meraviglioso grido di speranza in cui sogno, uguaglianza, fratellanza e libertà sembrano il diktat di quell’American Dream, rincorso e mai raggiunto, che gli Stati Uniti cercano d’incarnare.
Partiamo da Peggy, alla ricerca di una casa nell’Upper East Side. Nella New York del 1968 si era sviluppata una folle corsa agli appartamenti a buon mercato, specialmente fra le acquirenti femminili: “Surgeons have postponed operations, housewives have gone back to work, hippies have cut their hair and families have destroyed their pets (!!!)“, documenta The gothamist (ulteriore conferma che in Mad Men nulla è lasciato al caso). E così troviamo Peggy, The Girl Ghetto, libera di poter acquistare il nido ideale (possibilità che mette a disagio l’agente immobiliare). Da qui nasce un confronto catartico tra la donna e il suo compagno: Abe, infatti, non ha ancora raggiunto la sicurezza economica e lavorativa di Peggy e per questo non si sente in diritto di poter esprimere la propria opinione: “It’s not my money“, dice. Peggy gli ricorda che lui è parte integrante della sua vita e che vuole il suo parere, così Abe le confessa di non voler crescere dei figli nell’Upper East Side. Peggy sorride, felice e rassicurata dall’idea che il compagno progetti una vita insieme a lei. L’atteggiamento di Abe, all’apparenza distaccato, è in realtà guidato da un profondo rispetto per la compagna, un comportamento maturo e particolarmente apprezzato per le logiche maschili dell’epoca.
Abbiamo osservato più volte come Peggy, al di fuori dall’agenzia di Don, sia riuscita a trovare serenità e gratifiche. Ironia della sorte, Peggy e Megan sono nominate agli ANDY Awards per il lavoro alla SCDP, ora che non ne fanno parte; Peggy e Megan sembrano inoltre le uniche a congratularsi realmente per la candidatura (il responsabile commerciale di Peggy loda Megan riferendosi solo alla sua bellezza e non al suo lavoro). A vincere il premio è Megan, la quale ha preferito lasciarsi alle spalle un lavoro per il quale aveva dimostrato buone capacità, a favore dell’incerta carriera d’attrice.
Sul palco c’è Paul Newman – cliccate QUI per sfamare la vostra curiosità – a favore di Eugene McCarthy. L’attore viene interrotto dalla notizia dell’omicidio di Martin Luther King e il caos prende il sopravvento. Per il popolo americano King era una figura eroica alla quale tutti guardavano con rispetto e ammirazione: il suo assassinio ha infatti particolarmente destabilizzato gli Stati Uniti, innescando una serie di proteste violente in tutto il Paese. Rispetto alla morte di John Fitzgerald Kennedy, però, qualcosa è cambiato. Gli anni sono passati e nel popolo americano c’è una maggior consapevolezza politica, culturale e sociale, anche grazie a Martin Luther King. Il dolore è infatti familiare e comune, indipendentemente dal colore della pelle. Gli ANDY Awards continuano e la TV non ricopre un ruolo così invasivo come in The Grown Ups (ora è possibile spegnerla), ma i Mad Men si confermano nuovamente in difficoltà nel capire come muoversi di fronte a un tragico evento, privi di una “guida di comportamento”. A questo proposito è curioso notare il modo in cui Don e Joan reagiscono all’arrivo di Dawn in ufficio: Draper pensava fosse rimasta a casa, mentre Joan la abbraccia goffamente; solo per il colore della sua pelle. Tipico esempio di quel comportamento borghese, politicamente corretto, che in realtà nasconde un velo di razzismo; nel frattempo il popolo americano risponde con la violenza alla morte di un pacifista (la segretaria di Peggy ne evidenzia l’insensatezza e l’impossibilità di un cambiamento).
“In a flood, the animals went two by two“, dice il padre di Ginsberg, “Now’s the time when a man and a woman need to be together the most. In a catastrophe“. Il desiderio di unione è evidente durante l’interruzione degli Andy Awards, quando i protagonisti chiamano le loro persone care. Curioso notare quanto la catastrofe porti, ancora una volta, Don e Pete dall’indifferenza a un’esplosione emotiva: come in The Grown-Ups, Pete esterna il suo lato più umano (la chiamata a Trudy – Il litigio con Harry), mentre Don (preoccupato di chiamare Silvya a Washington!) viene sopraffatto dal figlio.
Finalmente conosciamo meglio Bobby. Il piccolo Draper strappa un pezzo di carta da parati dalla sua cameretta, probabilmente infastidito dall’asimmetria del disegno (richiamo simbolico al rapporto col padre?) e Betty, che nel frattempo non manca di lanciare una frecciatina a Don su Megan e figli, lo mette in castigo. Dopo il rifiuto di Bobby di andare a una veglia insieme a Megan, Don porta il figlio al cinema a vedere Il pianeta delle scimmie (diritti civili e metafora uomo/bestia – anche il finale cult in cui assistiamo alla scomparsa della civiltà umana è un’altra raffinatezza degli autori). Quando Bobby esclama Jesus! a fine proiezione, Don sembra fermarsi a osservare stupito il figlio, come se avesse realizzato all’improvviso quanto il bambino sia simile a lui. Un piccolo uomo, anche saggio, identico (Bobby infatti sembra un piccolo Don, spiega la costumista Janie Bryant su GQ). E se in The Doorway il malessere di Don arrivava dalla morte, in The Flood sembra nascere dalla scoperta dell’amore per il figlio. Una scintilla che porta a un coming out in cui Don confessa a Megan di non essere mai riuscito ad amare i figli (unica pecca: la colpa al padre è un cliché un po’ troppo comune per Mad Men). Ma il vero dolore arriva con la domanda di Bobby: “What if somebody shoots Henry?”, chiede il bambino al padre. E mentre il cuore sanguina, l’America è nel diluvio.
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