Mad Men 7×06: la recensione
The Strategy torna ad utilizzare una delle modalità narrative tipiche di Mad Men, ovvero la connessione tra gli eventi e uno specifico progetto pubblicitario come motore della puntata. E’ un episodio strutturalmente più lineare di altri, perché ruota esplicitamente intorno a un concetto definito, riconoscibile e centrale nell’economia di Mad Men: la casa, la famiglia, della quale ogni rappresentazione tradizionale è svuotata di senso, e ciononostante alla cui idea ancora tutti cercano di appigliarsi, nel vano e vago tentativo di resuscitare un’idea di felicità -più visiva che sostanziale- che non ha più senso di esistere. Questione di immaginario troppo limitato o conservatore, forse, o di terrore di ammettere una dissoluzione vista come un fallimento.
Don mette ordine in casa preparandosi all’arrivo di Megan. Megan lo sorprende al lavoro come farebbe una buona moglie (o come farebbe chi vuole controllare quanti altri piccoli dettagli il marito le ha taciuto), mette in scena una colazione felice, e poi rovista nell’armadio buttando all’aria il passato, cercando cose futili che rivelano l’intenzione di costruire coi propri oggetti un senso di “casa” altrove. Quello scambio davanti all’armadio, quell’incapacità di Megan di trattenere l’ansia e il sollievo quando Don le dice che si rivedranno solo a luglio, segnano la fine più di tante urla e scene madri: l’allontanamento sembra ormai siderale, e negli sguardi di Don si palesa la presa di coscienza di un allontanamento ormai siderale, e la rassegnazione. E chi si sarebbe aspettato una rottura –che pare inesorabile- così lenta, così “realistica”.
Pete Campbell come sempre vive nella necessità di dare un’immagine di sé che sia sempre un po’ al di sopra della sua portata: una donna più bella, una pelle più abbronzata, un successo maggiore sul lavoro. Eppure basta che Trudy si permetta di ignorarlo che riemerge il Pete rancoroso e infantile, a dimenticarsi di ciò che ha e a rivendicare diritti che non ha più: “we’re getting a divorce!” – “we are still married!”. Perentoria Trudy, e speriamo in maniera definitiva: “you are not part of this family anymore”. Cacciato dalla sua vecchia casa di famiglia, è abbandonato anche da Bonnie, non disposta ad adattarsi al ruolo di arredamento. Lei e Megan in volo da sole verso L.A. (quanti aerei quest’anno in Mad Men!) non sono donne in fuga ma dirette consapevolmente e di corsa lontano dai propri uomini.
Nel viavai alla SC&C abbiamo il piacere di ritrovare anche Bob Benson, protagonista del segmento che in modo più drammatico fa emergere lo spirito del tempo: nel 1969 gli omosessuali finiscono ancora in galera, e per fare carriera serve ancora tanto un buon curriculum quanto una buona, rassicurante, tradizionale vita familiare. Chissà se anche il mai dimenticato Sal ha stretto a suo tempo con la moglie un patto simile a quello cui aspira Bob quando chiede la mano di Joan: certo erano altri tempi, e la ragazza in questione non era una come Joan, abituata a calcoli e compromessi ma anche a decidere lei e solo lei come disporre di se stessa; e in campo amoroso Joan ha ormai scelto di non sottostare a menzogne di sorta.
Ed è impossibile rimanere impassibili di fronte al riavvicinamento tra Peggy e Don, così tortuoso, sottile, giusto: un ritrovarsi per mezzo di quell’intesa spontanea e profonda che emerge automaticamente quando riconoscono l’uno nell’altra una crisi creativa o esistenziale, o entrambe, come in questo caso. Una parola di Don e il tarlo del dubbio si insinua nella mente di Peggy, il lavoro per Burger Chef -che piace al capo e al cliente- diventa solo un “buon” lavoro, quando Peggy vuole la perfezione. Nel bellissimo dialogo che segue, Don e Peggy riflettono su loro stessi, si specchiano l’uno nell’altra, e infine si ritrovano nell’opinione che l’immaginario che i Lou e i Pete vogliono vendere (sorrisi a tavola, e la Mamma come pilastro della famiglia) non esiste più, e dunque la chiave è riadattarlo.
Così l’immagine finale parla chiaro: se la connessione profonda tra Don e Peggy aveva avuto modo di emergere in molte occasioni –e per questo ci aveva fatto stare così male la loro “rottura” degli ultimi tempi e ci commuove così tanto questo ritorno- l’inedito legame con Pete appare ora altrettanto naturale. In uno dei finali di episodio più belli dell’intera serie, Don, Peggy e Pete mettono in scena ora una delle tante famiglie felici disposte intorno a una delle tante family table, come tre sopravvissuti e tre incarnazioni differenti dell’epoca che stanno attraversando –e che anche noi stiamo attraversando. Il tutto però sotto un tetto tanto rassicurante quanto posticcio (a forma di casa stilizzata, appunto), indistinguibili dagli altri tipi di famiglia, dagli altri tipi di solitudini. In fondo, come dice Lou Avery, “it’s nice to see family happiness again”: è bello vederla, questa felicità, che sia autentica o meno è secondario.
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