Mad Men 7×07: la recensione
La settima stagione di Mad Men giunge alla pausa intermedia con il midseason finale Waterloo, ambientato nel luglio 1969, epocale spartiacque tra la dimensione terrena e lo spazio celeste. Saranno gli Abba, qualche anno più tardi (1974), a trovare una sintesi musicale a priori tra la hybris dell’allunaggio e l’idea di una sconfitta decisiva e finale evocata dal titolo dell’episodio, realizzando un brano che ben si adatta a riassumere il punto di svolta rappresentato da questa puntata, in cui la sconfitta si accompagna comunque a un senso di vittoria: “So how could I ever refuse / I feel like I win when I lose / Waterloo – Couldn’t escape if I wanted to / Waterloo – Knowing my fate is to be with you / Waterloo – Finally facing my Waterloo.” Gli ingranaggi narrativi di Mad Men si stanno muovendo mentre toccano il finale della prima parte della stagione, in maniera tale da chiudere alcuni capitoli e reimpostare gli scenari.
L’Apollo 11 che decolla il 16 luglio 1969 e atterra sul suolo lunare il 20 luglio funge da sfondo fin dall’inizio per alcuni momenti dei protagonisti e si ripercuote nelle parole di ogni dialogo come forza ispiratrice di emozioni, gioia e cambiamento. Il televisore, e non viceversa, osserva i personaggi seduti sul divano delle loro case o sui letti di un hotel a Indianapolis in un sospeso, magico e lungo silenzio che contempla l’allunaggio come un miracolo. L’atterraggio sulla luna è l’evento storico chiave che unisce tutti i personaggi nella stessa circostanza e li accomuna come testimoni, “Forse perché stavamo facendo tutti la stessa cosa nello stesso momento”, dirà Peggy in seguito.
A dispetto dell’atmosfera di tensione prima della battaglia evocata ovunque (Ted che vuole lasciare l’agenzia, l’imminente licenziamento di Don, Peggy nel panico per la presentazione a Indianapolis per Burger Chef, le discussioni tra Roger e Bert riguardo a Don e alla Sterling Cooper), l’uomo sulla luna è la prova che Waterloo si può affrontare nonostante le battaglie perse e la possibilità della sconfitta definitiva, assieme al desiderio romantico di non essere cinici e negativi, almeno per una volta (la telefonata di Don a Sally e il bacio tra Sally e Neil in giardino).
I cambiamenti presuppongono sempre chiusure e addii. “Nessun uomo è mai tornato dal suo esilio. Nemmeno Napoleone”, dice Bert Cooper a Roger mentre si discute sul futuro di Don all’interno dell’agenzia. Sebbene venga definito in modi tanto diversi quanto poco lusinghieri durante il corso dell’episodio (“old bad boyfriend” secondo Betty; “a bully and a drunk; a football player in a suit” secondo Jim Cutler; “a sensitive piece of horse flesh” per Pete e “a pain in the ass” per Bert), Don Draper è decisamente sulla strada della maturazione e della ridefinizione della propria identità. Mentre accetta la sconfitta dell’imminente licenziamento dalla propria agenzia (“They want me to move on”), Don rinuncia al suo “ultimo” incarico per aiutare Peggy a preparare la presentazione per Burger Chef, accetta le proposte di Roger sul futuro della Sterling Cooper e il passaggio nelle mani di McCann Erickson e durante la riunione con i soci convince Ted a rimanere nel gruppo, con eloquenti e meditate parole (“Ti assicuro che non vorresti vedere cosa succede a perdere tutto questo”).
La lunga e dolorosa telefonata con Megan rende finalmente definitiva la separazione, rivelandosi quanto mai necessaria per sigillare il passato e cominciare la ricostruzione di quello che verrà. L’evidente maturazione professionale e caratteriale di Don determina l’ascesa di Peggy e il futuro riconoscimento del suo ruolo all’interno della Sterling Cooper. La complicità ritrovata nel capitolo precedente si compie pienamente durante il viaggio a Indianapolis; parafrasando Pete, il “Don Draper Show” torna solo per far posto a quello di Peggy, con tutte le benedizioni possibili.
Inaspettatamente Mad Men sceglie la strada della leggerezza invece che della tragedia, o almeno pare sforzarsi per incoraggiarla, e la Waterloo paventata si rivela un augurio per il futuro anche nella morte. La sequenza di Bert Cooper che dice addio a Don cantando “The best things in life are free” in una dance-routine immaginata in pieno stile Broadway lascia con un sapore dolciastro, nonostante la serenità apparente e la consapevolezza di tutte le cose che dovranno accadere prima che si giunga alla fine, o prima che arrivi un’altra Waterloo. Sebbene sia solo un’illusione in un mondo di immagini e sentimenti “vendibili”, lo sguardo commosso, incredulo e inquieto di Don è il miglior arrivederci all’anno prossimo.
Scritto da Stefania Malagutti.
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