Guida ai telefilm 2013/2014
Arriva l’autunno, e con lui i telefilm. Per noi amanti della serialità, è il momento irrinunciabile dell’arrivo delle nuove stagioni di serie vecchie e, soprattutto, delle decine di pilot di serie nuove. Secondo la ferrea legge del dollaro, alcune di queste trionferanno, altre arrancheranno, altre ancora non giungeranno a fine anno, e ad ogni novità noi speriamo di trovarci di fronte il nuovo The Walking Dead o il nuovo Game of Thrones. Come si vedrà di seguito, raramente va così di lusso; ecco il punto della situazione pilot 2013/2014 secondo i Blogger Erranti.
The Blacklist (NBC)
Un supercriminale offre all’FBI la lista nera dei cattivoni più ricercati d’America, a patto di lavorare esclusivamente con l’agente Elizabeth Keen. Sorvolando sul déjà vu, The Blacklist svolge dignitosamente il suo compito di procedurale crime: intrattiene, dissemina qualche mistero, e può contare sul carisma di un attore bomba come James Spader, una di quelle facce a cui affideresti volentieri anche le chiavi di casa.
Perché sì: alcuni interrogativi stimolano più di una curiosità (e per James Spader, questo e altro).
Perché no: richiede la “sospensione dell’incredulità” un po’ troppo spesso.
Brooklyn Nine-Nine (FOX)
E’ ormai così raro trovare nuove comedy brillanti che l’esordio di Brooklyn Nine-Nine va salutato con il giubilo che si merita. La formula è semplice: un insieme di personaggi ben caratterizzati e mediamente idioti (ma di quell’idiozia che è efficace premessa per situazioni surreali o buffe o persino tenere) abitano uno sgangherato dipartimento di polizia di Brooklyn, e saranno messi in riga dal nuovo, integerrimo capitano, interpretato dal granitico Andre Braugher. I creatori, Michael Schur e Daniel J. Goor, vengono da Parks and Recreation, che è uno strepitoso biglietto da visita.
Perché sì: si ride tanto e bene.
Perché no: forse alla lunga un’ambientazione così circoscritta può stancare (ma sei anni di Parks and Recreation sono lì a dimostrare il contrario).
The Crazy Ones (CBS)
Robin Williams e Sarah Michelle Gellar sono Simon e Sydney Roberts, geniale pubblicitario e figlia che cerca di coglierne l’eredità, in questa workplace comedy che si basa in gran parte sulla comicità debordante di Williams, cui per fortuna Sarah Michelle riesce a tener testa con sufficiente agio: le situazioni lavorative, spesso assurde o impossibili, in cui si caccia Williams garantiscono il coinvolgimento dei tre-quattro comprimari (i dipendenti dell’agenzia Roberts&Roberts), divertenti anche loro – grazie a dialoghi serrati e ben scritti – ma un po’ bidimensionali.
Perché sì: l’alchimia tra Williams e Gellar, un ritmo velocissimo e battute a raffica che funzionano.
Perché no: poca caratterizzazione dei personaggi, e le faccette, le vocine, il gesticolare di Robin Williams rischiano di fagocitare tutto il resto.
Hello Ladies (HBO)
Stephen Merchant, BFF di Ricky Gervais e co-creatore di The Office UK, prende in prestito il titolo del suo omonimo spettacolo teatrale per raccontare le disavventure amorose di Stuart, designer in cerca di modelle da copertina. Un divorziato grasso e romantico, un paraplegico sciupafemmine e un’attrice squattrinata, il suo entourage. Oltre alla spassosa comicità slapstick di Merchant e ai buffi co-protagonisti, c’è anche tanta malinconia nei personaggi di Hello Ladies, simpatici e umani anche quando si comportano da cazzoni egoisti.
Perché sì: Stephen Merchant fa ridere anche fuori quadro.
Perché no: lo “sketch della settimana” può penalizzare il protagonista, Stuart merita un approfondimento maggiore!
Marvel’s Agents of S.H.I.E.L.D. (ABC)
Prodotta da Marvel Entertainment per ABC e ideata da Joss “dio-lo-benedica” Whedon è una sorta di post-Avengers con Phil Coulson miracolosamente scampato alla morte (o no?) e di nuovo operativo con una nuova squadra di agenti: Grant il bello, efficiente quanto sociopatico, la tostissima Melinda, la spassosa accoppiata di nerd maldestri Fitz e Simmons e Skye, giovane hacker inizialmente ostile al gruppo, poi coinvolta in prima linea nelle loro attività. Per chi si aspettava un prodotto 100% Whedon una cocente delusione; per gli altri, che ragionevolmente immaginavano i condizionamenti di una superproduzione come questa, 45 piacevoli minuti di esplosioni, scazzottate e facili redenzioni
Perché sì: fa il suo sporco lavoro, cioè intrattenere, e lo fa bene – ecco, in alcune puntate meglio di altre ma senza grosse cadute. E poi, soprattutto nel pilot, il tocco di Joss Whedon si sente eccome e scalda il cuore.
Perché no: no, non è la serie che vi cambierà la vita, keep on searching
Masters of Sex (Showtime)
Basato sulla biografia “Masters of Sex: The Life and Times of William Masters and Virginia Johnson…“, lo show narra la nascita degli studi sulla sessualità nell’America degli anni ’50. Il sesso è in realtà solo il punto di partenza per studiare le inibizioni e i desideri dei personaggi, tutti ben scritti e interpretati. Ma non solo: Masters of Sex è anche il preludio di una rivoluzione di genere che trova nel punto di vista femminile l’aspetto più affascinante, merito di un team creativo composto prevalentemente da donne.
Perché sì: la buona caratterizzazione dei personaggi, in particolare quelli femminili.
Perché no: la Showtime è nota per buttare tutto “in vacca” e il rischio soap è dietro l’angolo.
Once Upon a Time in Wonderland (ABC)
Da Storybrook al Paese delle Meraviglie: i creatori della serie madre, Edward Kitsis e Adam Horowitz, si tuffano nella tana del Bianconiglio per raccontare la storia di Alice, creduta folle per le mirabolanti avventure che dice di aver vissuto durante la lunga assenza da casa. Ma il Wonderland di questo spin-off ibrida l’altrove corrispettivo della cupa Inghilterra vittoriana con un tocco di Agrabah: Alice vi fa infatti ritorno nella speranza di ritrovare l’amato genio Cyrus, scortata dal Fante di Cuori e ingannata dal Bianconiglio al servizio della Regina Rossa, a sua volte succube di Jafar, sulle tracce dei desideri del genio custoditi da Alice. Le atmosfere inquietanti sono però minate dal dubbio sulla capacità della trama di sostenere i tredici episodi previsti e da grosse pecche di recitazione. Relativamente accettabile l’eburnea Alice di Sophie Lowe, curioso crossover tra Mia Wasikowska e Blake Lively; molto più artificiali, invece, le performance del Fante di Cuori (Michael Socha) e soprattutto di una Emma Rigby priva di spessore (se non di quello labiale) nel ruolo della Regina Rossa (“Off with her head!”, commenterebbe Carroll).
Perché sì: il fascino inesauribile del Paese delle Meraviglie e gli scenari suggestivi.
Perché no: la scarsa recitazione e il rischio che la trama non basti per un’intera serie.
Trophy Wife (ABC)
La giovane e bellissima Kate sposa in velocità l’avvocato Pete (il sorkiniano Bradley Whitford, visto anche in Quella casa nel bosco), simpatico e sufficentemente fascinoso, e viene catapultata in mezzo alla doppia, caotica famiglia alle spalle di lui: due ex mogli agli antipodi (la new age svampita Michaela Watkins e la terrorizzante e meravigliosa Marcia Gay Harden) e tre figli, di cui due gemelli maschio e femmina appena adolescenti e un bambino cinese buffissimo. Gag a ripetizione, alcune più cattivelle della media, mentre Kate cerca di trovare il suo posto nella nuova tribù, tra figuracce e illuminanti momenti di complicità.
Perché sì: la verve comica di Malin Åkerman ma anche di tutto il resto del cast, perfettamente in parte.
Perché no: pericolo ripetitività e buonismi alla Modern Family, per ora fortunatamente evitati.
Witches of East End (Lifetime)
E’ venuto il momento per la strega in incognito Joanna Beauchamp di svelare alle due figlie, Freya la tettona, fresca di fidanzamento, e Ingrid la razionale, la loro vera natura e la maledizione di cui sono prigioniere: nascere, morire prima dei trent’anni per poi rinascere in un eterno ritorno dell’uguale, insidiate da potenti nemici. Che questa volta le cose possano andare diversamente? Romanzone rosa enfatico e cafone, condito da generose spruzzate di ormone e sguardi torbidi e un po’ di sangue ma non troppo e in gocce sapientemente distribuite sul décolleté.
Perché sì: per quelli che “viva il fantasy!” senza se e senza ma, basta che ci siano streghe procaci e misteriosi bellocci che limonano duro.
Perché no: queste streghe qua alla Suprema Fiona aka Jessica Lange possono al massimo farle da pungiball.
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