Breaking Bad 5×11: la recensione
Una sigaretta, la nuca di un ragazzo biondo davanti al cartello della Route 66 e un gentile messaggio telefonico che avvisa di un “cambio nella dirigenza dell’impresa”, nel caso l’ex collega destinatario fosse interessato a rientrare in società. Poi la scena si sposta all’interno di un diner più che mai emblema dell’America on-the-go e self-made, dove il ragazzo scherza con due uomini parlando di vecchi film e di rapine ai treni. “Confessions” inizia con una vignetta conviviale che parrebbe quasi uscita da Gilmore Girls, se non fosse per l’interminabile fedina penale dei due uomini, nazisti pluriomicidi e leader di una White Supremacist gang (un moderno Ku Klux Klan), e del giovane ma inesorabile killer e produttore di metamfetamine. Todd, lo zio e la gang sono quindi i nuovi boss del Drug Empire, pronti a cominciare il business con il carico restante di metilammina rubata.
I veri protagonisti però hanno ben altre gatte da pelare, e sono tutti sul filo del rasoio: Jesse è psicologicamente allo stremo e rischia di dare informazioni preziose ad Hank, che l’ha (finalmente) ricollegato al caso; Walt è provato dalla malattia e dal tentativo di tenere in piedi quel poco che resta della sua copertura, ma l’arduo compito è ulteriormente complicato da Marie, decisa a smascherare pubblicamente il cognato e a “salvare” i nipoti (solo con un guizzo del suo genio manipolatore Walt riesce a impedire al figlio di “andare a riparare il pc degli zii”, con le immaginabili conseguenze). Le due situazioni vengono sbloccate rispettivamente dall’intervento di Saul, che ritira fuori la carta “uscita gratis di prigione” (riferendosi al pestaggio di Jesse ad opera di Hank dell’episodio 3×07, “One Minute”) e dalla “confessione” filmata con cui Walt spera di chiudere la questione con il cognato.
Proprio le confessioni del titolo danno un indizio sui due punti nodali dell’episodio, o per meglio dire sul suo “doppio twist”: da un lato la storia abilmente rielaborata di Walt, che scarica tutto il peso dell’impero da lui costruito (e delle ormai numerosissime vite da esso spezzate o rovinate) proprio su Hank, che assiste impotente al racconto del DVD (con un’espressione che richiama quella assunta in bagno dopo la lettura della dedica di Gale, e sembra avere un filo diretto coi suoi pensieri in quel momento); dall’altro il “terzo grado” di Saul davanti alla pistola impugnata da Jesse, che alla fine è risalito al complotto ordito da Walt per riacquistare la sua fiducia e convincerlo ad ammazzare Gus Fring.
Il primo punto stabilisce ancora una volta il (quasi) perfetto controllo della situazione da parte di Walt, in grado di affossare perfino un ufficiale capo della DEA, trascinandolo irrimediabilmente nel proprio sporco giro con la forza dei 177.000 dollari spesi che ha effettivamente elargito per la terapia riabilitativa di Hank, a totale insaputa di quest’ultimo (“Marie, why didn’t you tell me?? You killed me… this is the last nail in the coffin!”); ora, se Hank non mollerà la presa, verrà colpevolizzato dalle sue stesse indagini. La mostruosità delle macchinazioni di Heisenberg era comunque già totalmente chiara anche a Marie, che ormai si è resa perfettamente conto di essere stata presa in giro per mesi dalla sorella e dal cognato (e anche usata da Walt per spostare l’attenzione sui “peccati” e sulla pazzia di Skyler quando i suoi misteri cominciavano a destare sospetti). L’odio di Marie emerge anche durante il “pacifico” confronto fra i quattro alla taqueria Garduño’s, quando inaspettatamente interviene con la possibile soluzione della situazione: “Perché non ti uccidi, Walt?” (e con questa frase tutti i componenti delle due famiglie dotati di favella hanno augurato almeno una volta la morte al protagonista).
In ogni caso, con lo stratagemma del DVD Walt e Skyler sembrano aver trovato il modo di liberarsi di Hank, almeno per il momento, ma ecco che interviene un pericolo molto maggiore di lui: la furia vendicativa di Jesse, che grazie a un déjà-vu ha ricostruito la responsabilità di Walt dietro la sparizione della sigaretta con la ricina e l’avvelenamento di Brock col mughetto). Colpo da maestro di Vince Gilligan, che già da qualche episodio aveva dipinto un Jesse ormai rassegnato ad essere un burattino nelle mani di Walt, conscio della sua condizione, ma impotente di fronta alla morsa psicologica del suo amico/mentore/aguzzino. Proprio quando è sul punto di abbandonare il New Mexico con una nuova identità, Jesse si trasforma invece nel vero antagonista che distrugge casa White e costringe Walt a fuggire adottando la copertura di “Mr. Lawson”, vista nei teaser degli episodi precedenti. La resa dei conti è quindi iniziata.
E’ doveroso citare un altro paio di scene, che in un clima di crescente drammaticità dell’episodio e di prossimità al climax dell’intera serie conferiscono elementi molto gustosi di azione e ironia, che smorzano parzialmente la tensione: la telefonata alla “squadra di estrazione” fatta da Saul (“I need a new dust filter for my Hoover Max Extract Pressure Pro model 60”), che torna dopo “Crawl Space”, la decisione di Jesse di andare in Alaska (forse un parallelismo con Francis, il figlio del personaggio di Bryan Cranston in Malcolm in the Middle?), e il povero cameriere invadente alla taqueria, che inconsapevole della situazione, insiste perché le due famiglie ordinino “un ottimo guacamole preparato al tavolo” (naturalmente subito ribattezzato “awkward guacamole”).
Con queste premesse, anche se restano ancora cinque episodi, cresce la frenesia per vedere “Felina”: si preannunciano scintille (azzurre naturalmente).
Scritto da Stefano Baravelli.
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Giusto, di questo passo Vince Gilligan ci manda in Belize :-p
la confessione di Walt mi ha fregata in pieno e ogni episodio aumenta la tachicardia. di questo passo non si arriva vivi al finale.